venerdì 29 novembre 2013

Conferenza di Solideo Paolini su Fatima

Il Trionfo del Cuore Immacolato
Ciclo di conferenze sulle apparizioni mariane

Fatima: un discorso sempre aperto
Solideo Paolini, fatimologo, presenta a Perugia il suo ultimo libro sugli sviluppi della questione
Sala conferenze, Hotel Priori, Via Vermiglioli 3, Perugia
sabato 14 dicembre, ore 18.00




giovedì 15 agosto 2013

15 agosto: l’Assunzione di Maria Vergine

di Cristina Siccardi


Il primo scritto attendibile che  narra dell’Assunzione di Maria Vergine in Cielo, come la Tradizione fino ad allora aveva tramandato oralmente, reca la firma del Vescovo  san Gregorio di Tours ( 538 ca.- 594), storico e agiografo gallo-romano: «Infine, quando la beata Vergine, avendo completato il corso della sua esistenza terrena, stava per essere chiamata da questo mondo, tutti gli apostoli, provenienti dalle loro differenti regioni, si riunirono nella sua casa. Quando sentirono che essa stava per lasciare il mondo, vegliarono insieme con lei. Ma ecco che il Signore Gesù venne con i suoi angeli e, presa la sua anima, la consegnò all’arcangelo Michele e si allontanò. All’alba gli apostoli sollevarono il suo corpo su un giaciglio, lo deposero su un sepolcro e lo custodirono, in attesa della venuta del Signore. Ed ecco che per la seconda volta il Signore si presentò a loro, ordinò che il sacro corpo fosse preso e portato in Paradiso».
Il Dottore della Chiesa san Giovanni Damasceno (676 ca.- 749) scriverà: «Era conveniente che colei che nel parto aveva conservato integra la sua verginità conservasse integro da corruzione il suo corpo dopo la morte. Era conveniente che colei che aveva portato nel seno il Creatore fatto bambino abitasse nella dimora divina. Era conveniente che la Sposa di Dio entrasse nella casa celeste. Era conveniente che colei che aveva visto il proprio figlio sulla Croce, ricevendo nel corpo il dolore che le era stato risparmiato nel parto, lo contemplasse seduto alla destra del Padre. Era conveniente che la Madre di Dio possedesse ciò che le era dovuto a motivo di suo figlio e che fosse onorata da tutte le creature quale Madre e schiava di Dio».
La Madre di Dio, che era stata risparmiata dalla corruzione del  peccato originale, fu risparmiata dalla corruzione del suo corpo immacolato, Colei che aveva ospitato il Verbo doveva entrare nel Regno dei Cieli con il suo corpo glorioso.
San Germano di Costantinopoli (635 ca.-733), considerato il vertice della mariologia patristica, è  in favore dell’Assunzione e per tre principali ragioni: pone sulla bocca di Gesù queste parole:  «Vieni di buon grado presso colui che è stato da te generato. Con dovere di figlio io voglio rallegrarti; voglio ripagare la dimora nel seno materno, il soldo dell’allattamento, il compenso dell’educazione; voglio dare la certezza al tuo cuore. O Madre, tu che mi hai avuto come figlio unigenito, scegli piuttosto di abitare con me».  Altra ragione è data dalla totale purezza e integrità di Maria. Terzo: il ruolo di intercessione e di mediazione che la Vergine è chiamata a svolgere davanti al Figlio in favore degli uomini.
Leggiamo ancora nel suo scritto dell’Omelia I sulla Dormizione, che attinge a sua volta da San Giovanni Arcivescovo di Tessalonica ( tra il 610 e il 649 ca.) e da un testo di quest’ultimo, che descrive dettagliatamente le origini della festa dell’Assunzione, dato certo nella Chiesa Orientale dei primi secoli: «Essendo umano (il tuo corpo) si è trasformato per adattarsi alla suprema vita dell’immortalità; tuttavia è rimasto integro e gloriosissimo, dotato di perfetta vitalità e non soggetto al sonno (della morte), proprio perché non era possibile che fosse posseduto da un sepolcro, compagno della morte, quel vaso che conteneva Dio e quel tempio vivente della divinità santissima dell’Unigenito».
Poi prosegue: «Tu, secondo ciò che è stato scritto, sei bella e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto abitazione di Dio: perciò è anche estraneo al dissolvimento in polvere. Infatti, come un figlio cerca e desidera la propria madre, e la madre ama vivere con il figlio, così fu giusto che anche tu, che possedevi un cuore colmo di amore materno verso il Figlio tuo e Dio, ritornassi a lui; e fu anche del tutto conveniente che a sua volta Dio, il quale nei tuoi riguardi aveva quel sentimento d’amore che si prova per una madre, ti rendesse partecipe della sua comunanza di vita con se stesso».
Restano incorrotti molti corpi di Santi (manifestazioni scientificamente inspiegabili) e come sarebbe stata possibile la dissoluzione in polvere della Corredentrice che ha contribuito, rendendo possibile l’Incarnazione, a liberare l’uomo dalla rovina della morte?
Il dogma cattolico è stato proclamato da Pio XII il 1º novembre 1950, Anno Santo, con la Costituzione apostolica Munificentissimus Deus:  «Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica».
Si tratta dell’ultimo dogma, finora, proclamato da un Pontefice ed è diretto alla Madonna, la quale sta avendo un grande ruolo nei penosi tempi che stiamo attraversando di crisi della Fede e di crisi della Chiesa. Scrive suor Maria Cecilia Manelli F.I. nell’articolo La Fede nei Santi Martiri. Martirio: via al trionfo del Cuore Immacolato («Fides Catholica» n. 1-2013, p. 213), dove si parla di Martirio azzurro: «quel martirio che subiscono o dovranno subire tutti coloro che si schierano dalla parte della Madonna. È un martirio che trova la sua causa, dunque, nelle false pretese delle ideologie mariane minimaliste e distruttive. Oggi, infatti, si è chiamati a difendere la Madonna contro coloro – purtroppo in prima linea proprio i teologi stessi -  che tentano invano di offuscare la bellezza ed il candore divini. È un martirio azzurro che comunque, se vogliamo prestar fede a quanto la Madonna ha detto a Fatima, si tingerà di rosso, ossia di quel sangue che nel Terzo Segreto verrà raccolto dagli Angeli e sparso su tutta l’umanità. È il martirio riservato a coloro che, consacrati all’Immacolata, sono rivestiti del suo manto azzurro. È il martirio che preparerà la via al Trionfo del Cuore Immacolato. Sarà il nostro martirio? Solo Dio e l’Immacolata lo sanno!».

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/15-agosto-lassunzione-di-maria-vergine/

domenica 11 agosto 2013

FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA: anch’io li conosco

di Alessandro Gnocchi


Bisogna riconoscerlo, a volte sono utili anche gli articoli di Massimo Introvigne. Per quello che vale, questa testimonianza sui Francescani dell’Immacolata non sarebbe stata scritta senza l’implicito invito contenuto in una delle encicliche che l’avvocato sociologo pubblica quasi quotidianamente sulla “Nuova Bussola”. Pochi giorni fa, a proposito del commissariamento dell’istituto fondato da padre Stefano Manelli, Introvigne si è lasciato sfuggire la maldestra insinuazione che le vere cause di quanto avvenuto le conoscerebbero solo lui e qualche altro iniziato alle segrete carte.Tutti, o quasi, gli altri commentatori della vicenda avrebbero scritto a capocchia, senza sapere di che cosa si sta parlando, senza essere illuminati come lui. «Conosco anche i loro problemi» ha scritto dei Francescani dopo la solita lisciata di pelo che precede la coltellata «non sono certo che si possa dire lo stesso per tutti coloro che hanno commentato l’ultima vicenda». Per corroborare tanto zelo per la verità e la correttezza dell’informazione, per dare una mano nel mettere al loro posto tutti quei signori che osano scrivere a capocchia senza sapere ciò che Introvigne invece sa, vorrei rendere una testimonianza e raccontare qualche cosa su questi frati e dunque anche sulle suore che fanno parte della famiglia.Niente di eclatante, si tratta di semplici fatti ai quali, però, si possono solo opporre altri fatti e non un sibillino “lasciate parlare me che conosco le segrete carte”. Scrivo una volta tanto in prima persona, senza l’ausilio di Mario Palmaro, che comunque, come usa dire oggi, ci legge in copia, perché le testimonianze vanno rese e verbalizzate singolarmente. Questa breve racconto inizia dal passato recentissimo. Domenica 4 agosto, mia figlia, che ha diciotto anni e si chiama Chiara, è tornata da un mese trascorso come missionaria in Nigeria con le suore francescane dell’Immacolata.La missione nigeriana, come dovrebbero sapere tutti coloro che parlano di questo istituto e come Introvigne certamente sa, è a rischio di martirio quotidiano. Lì, ci sono figli e figlie di padre Manelli che ogni giorno rischiano la vita in nome di Gesù Cristo e, proprio per questo, prospera una delle imprese spirituali più fiorenti dell’istituto: quaranta aspiranti maschi e trenta aspiranti femmine in un Paese a maggioranza musulmana, dove le sette protestanti fanno di tutto per distruggere quanto costruiscono i cattolici, dove imperversano le chiese più impensate, dove i pagani che consumano i loro sacrifici umani poco lontano dai conventi lasciano i resti delle vittime per le strade in onore dei loro demoni, dove nelle giornate dei riti cannibali le donne non possono uscire di casa pena la morte. Nel mondo di “Apocalypto” prima dell’arrivo degli spagnoli.Le suore non possono mai uscire da sole e, in certe occasioni, rischiano la vita solo a mostrarsi. Eppure, come i frati, continuano a portare Cristo là dove non c’è e a chi non lo conosce. Assieme ai frati, procurano battesimi, l’amministrazione dei sacramenti, la celebrazione di Messe, strappano letteralmente anime e corpi al demonio. Dopo ogni conversione tornano quotidianamente dai nuovi cristiani per evitare che la loro fede si intorpidisca e cada di nuovo preda delle false religioni e, quindi, della disperazione. Appena scesa dall’aereo, alla sua prima ora di missione, Chiara è stata portata al lebbrosario per pregare in ginocchio il Rosario davanti al letto di una malata che stava morendo, perché le anime vanno custodite fino in fondo e non basta riempire le pance.La preghiera è stato il filo d’oro che ha segnato il cammino di mia figlia per tutto il mese: lo stesso che segna da anni la vita della missione perché è quello che segna la vita delle suore e dei frati francescani dell’Immacolata. Dopo, solo dopo, viene l’assistenza materiale, lì, nel mondo di “Apocalypto” dove, nonostante tutto, le suore e i frati vestiti di azzurro sono altrettante note di letizia. «Di notte» mi ha raccontato Chiara «mi veniva da piangere per ciò che vedevo di giorno. Avevo visto l’inferno mentre io mi sentivo in paradiso. Non è la povertà e non è la miseria a far piangere, ma la disperazione di un mondo senza Cristo. Di giorno sentivo le voci dei muezzin, di notte i tam tam dei riti pagani e ho toccato con mano che il demonio esiste davvero, ho provato sulla mia pelle che la religione vera è una sola ed è la nostra. Lo scudo più potente contro la presenza del demonio era il canto gregoriano dei frati e delle suore, il Rosario recitato continuamente, le veglie e le Messe celebrate come piace al Signore».«Chiara, se vogliamo che la nostra missione diventi ancora più fiorente» ha detto una suora a mia figlia poco prima che partisse «bisogna che qualcuna di noi muoia e offra la sua vita perché non c’è niente di più fecondo del sangue offerto per Gesù. I frati sono già morti, ora tocca a noi». Sono poveri, piccoli fatti, piccoli frutti sperduti nell’Africa profonda che però mostrano di che pasta siano le radici dell’albero piantato nel saldo terreno della fede cattolica da padre Manelli nel 1970.L’impronta in quelle suore e in quei frati che accettano il martirio per far fiorire la vita cristiana è la sua. Da anni, quest’uomo vive nella sofferenza come il suo padre spirituale San Pio da Pietrelcina. Qualche tempo fa, quando i medici non sapevano che cosa fare per guarirlo dal male che lo tormentava, un sacerdote che lo conosce bene mi disse «I dottori stanno tentando di tutto, ma non riescono a far niente perché non capiscono che quest’uomo sta offrendo le sue sofferenze per il bene della Chiesa. Ha scelto di portare sul suo corpo le piaghe del Corpo Mistico». Non serve teologizzare troppo. Basta stare cinque minuti davanti a padre Stefano per capire quanto la sofferenza gli sia intima, quanto la desideri pur temendola, e quanto ne offra i benefici e le benedizioni che ne discendono.Due anni fa l’ho incontrato al santuario dello Zuccarello di Nembro, vicino a Bergamo, per la Messa in ricordo di sua mamma. Era seduto in sacrestia, piegato sulla sedia, in difficoltà anche solo a dar retta a chi lo salutava. «Come sta padre Stefano?». Ha allargato le braccio per quanto poteva e ha sussurrato «Si sta così, sulla croce». Con Mario Palmaro avevo appena scritto un libro su padre Pio, ma solo davanti a quel suo figlio spirituale ho finalmente provato un briciolo di vera compassione per la sofferenza che avevo descritto indegnamente con le parole.Tre mesi fa l’ho rivisto, poco prima che scoppiasse la bomba del commissariamento. Era inquieto, ma più per le sorti della Chiesa che per quelle della sua fondazione. «Ormai, ci può salvare solo il trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Siamo nel tempo che padre Pio diceva delle “quattro T”: tutte tenebre». «E che cosa possiamo fare, padre?». «Bisogna prepararsi, pregare e continuare la battaglia. E poi» ha aggiunto con il suo sorriso un po’ da vecchio e un po’ da bambino «ci sono le “quattro T” della luce: tutti Francescani dell’Immacolata».Eravamo a Sassoferrato, nel seminario dell’ordine. Una costruzione enorme svuotata di vocazioni dai frati minori conventuali e riempita dai francescani dell’Immacolata. Un edificio in questi frati che salutano chiunque con lo splendido «Ave Maria» vivono fianco a fianco con madonna povertá. Nelle loro case, la povertà è quella vera, non è quella esibita all’obiettivo del fotografo e neanche quella predicata agli altri. È praticata in proprio e, letteralmente, la si respira appena si varca la soglia di un qualsiasi loro convento. Non nelle chiese, perché lì deve essere tutto il più splendido possibile per il Signore, come voleva il padre Francesco. Ma nelle loro case può abitarci solo chi decide e accetta di essere veramente povero.La rinuncia a tutto, ma proprio tutto, quanto il mondo può offrire di appena confortevole, attanaglia alla gola: ti soffoca o ti santifica. «Se avessi voluto curarmi le unghie e avere l’acqua calda tutti i giorni» ha spiegato una suora di ventidue anni a mia moglie «sarei stata a casa mia». Mia figlia Chiara, in un mese di missione non si è mai guardata allo specchio, ne aveva solo uno piccolissimo per controllare se si era presa le pulci. L’unico specchio consentito alle suore francescane dell’Immacolata è il quadro della Madonna. Chi cerca l’oleografia e il pittoresco e pensa ai conventi del turismo spirituale che va di moda oggi, eviti con cura le case e i conventi dei francescani dell’Immacolata. Scambierebbe per incuria e abbandono la santa indifferenza che questi frati e queste suore nutrono per le cose del mondo.Non capirebbe come uomini e donne del ventunesimo secolo possano vivere in mezzo a quello che un qualsiasi cristiano perbene chiamerebbe squallore. Perché è questa la cifra degli ambienti in cui i francescani dell’Immacolata vivono, pregano e si santificano. Dopo aver guardato la luce che brilla negli occhi di uno di questi frati o di una di queste suore, guardate i piedi e osservate come sono ridotti. Se gli occhi sono quelli chi scorge il Paradiso, i piedi sono quelli di chi sta piantato nella miseria del mondo e l’abbraccia. A me è capitato qualche tempo fa con padre Alessandro Apollonio, il braccio destro di padre Stefano. Dopo un’ora trascorsa a passeggiare sull’asfalto discutendo di massimi sistemi, mi è caduto l’occhio sulle unghie dei suoi piedi, completamente coperte dagli ematomi dovuti al gelo sopportato d’inverno. Allora ho guardato le mie scarpe e mi sono un pò vergognato. Ma, soprattutto, ho avuto compassione del mio sguardo, che non ha certo la letizia di quello di padre Alessandro.Sono solo dei piccoli fatti, cose da niente che però, a chi abbia buoni occhi e occhi buoni, dicono ben più di tanti trattati di sociologia. E pure più di tante visite apostoliche condotte per posta elettronica inviando questionari da riempire e ricevere stando nel proprio ufficio invece che andare sul posto di persona. Se il visitatore che ha dato il via libera al commissariamento, come dice il nome del suo ufficio, avesse visitato le case dei francescani invece che affidarsi alle formidabili meraviglie informatiche, forse si sarebbe reso conto che il rancore di certi frati contro il loro fondatore non regge l’amore filiale che circonda la figura di padre Stefano. «Tieni, finisci tu il caffè» ha detto il padre al giovane frate che ci aveva portato qualcosa da bere quando l’ho incontrato due mesi fa. E, come faceva mio padre con me quando ero bambino, come facevo io con i miei figli quando erano piccoli e come mi piacerebbe fare ancora adesso che la più piccina va in missione in Nigeria, gli ha passato la tazzina dalla quale aveva bevuto lui.Cosa dire d’altro? Che poi, quel giorno, padre Stefano si è alzato e se ne è andato verso la sua cella tenendo in mano tutti i libri che gli avevo portato in regalo. Non lo avevo mai visto così grande, così imponente. Forse sapeva già che sarebbe venuto il momento della prova.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/francescani-dellimmacolata-anchio-li-conosco/

sabato 10 agosto 2013

Lex dubia non obligat

di Roberto de Mattei

Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata ripropone una questione di ordine canonico, morale e spirituale, spesso affiorata e talvolta “esplosa” negli anni del  post-concilio: il problema dell’obbedienza ad una legge ingiusta. Una legge può essere ingiusta non solo quando viola la legge divina e naturale, ma anche quando viola una legge ecclesiastica di portata superiore. È questo il caso del Decreto dell’11 luglio 2013 con cui la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata stabilisce il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata.La lesione del diritto non sta nel commissariamento, ma in quella parte del Decreto che pretende obbligare i Francescani dell’Immacolata a rinunciare alla Messa secondo il Rito Romano antico. Esiste infatti, oltre alla Bolla Quo primum di san Pio V (1570), il motu proprio di Benedetto XVI Summorum pontificum (2007), ossia una legge universale della Chiesa, che concede ad ogni sacerdote il diritto di «celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa».L’art. 2 del Motu Proprio specifica che non occorre alcun permesso né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario, per le Messe celebrate sine populo.L’art. 3 aggiunge che non solo i singoli sacerdoti, ma «le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, sia che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori possono esercitare questo diritto». Nel caso che una singola comunità o un intero Istituto o Società volesse «compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari». Non c’è bisogno, in questo caso, di risalire ai princìpi della legge divina e naturale, basta il diritto canonico. Un eminente giurista come Pedro Lombardia (1930-1986) ricorda come il canone 135, paragrafo 2, del nuovo Diritto Canonico sancisce il principio della legalità del legiferare, nel senso che «la potestà legislativa è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto», specialmente dai canoni 7-22, che costituiscono il titolo dedicato dal Codice alle Leggi ecclesiastiche (P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico, Giuffré, Milano 1986, p. 206).Il Codice ricorda che leggi ecclesiastiche universali sono quelle «promulgate con l’edizione nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis» (can. 8); che ad esse «sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date» (can. 12 – §1); precisa che «le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un’eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta» (can. 18); stabilisce che «la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente »(can. 20); afferma che «nel dubbio la revoca della legge preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è possibile» (can. 21).L’art. 135 stabilisce infine il principio fondamentale della gerarchia delle norme, in virtù del quale «da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore». Neanche un Papa  può abrogare un atto di un altro Papa, se non con la dovuta forma. La regola incontestabile, di ordine giuridico e morale, è che prevale il diritto derivante da un ordine superiore, che riguarda una materia di maggiore importanza e più universale, e che possiede un titolo più evidente (Regis Jolivet, Trattato di filosofia. Morale, vol. I, Morcelliana, Brescia 1959, pp. 171-172).Secondo il canone 14, inoltre, la norma canonica, per essere obbligatoria, non deve essere suscettibile di dubbio di diritto (dubium iuris), ma deve essere certa. Quando manca la certezza del diritto, vige l’assioma: lex dubia non obligat. Quando ci si trova di fronte ad un dubbio, la gloria di Dio e la salvezza delle anime prevalgono sulle concrete conseguenze  a cui può portare l’atto, sul piano personale. Il  nuovo Codice di Diritto Canonico ricorda infatti, nel suo ultimo canone, che nella Chiesa, sempre deve essere “suprema lex” la “salus animarum” (can. 1752). Lo aveva già insegnato S. Tommaso d’Aquino: «lo scopo del diritto canonico tende alla pace della chiesa e alla salvezza delle anime» (Quaestiones quodlibetales, 12, q. 16, a. 2) e lo ripetono tutti i grandi canonisti.Nel discorso sulla “salus animarum” come principio dell’ordinamento canonico, tenuto il 6 aprile 2000, il cardinale Julián Herranz, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha ribadito come questo è il supremo principio ordinatore della legislazione canonica. Tutto ciò presuppone una riflessione articolata, che è assente dal dibattito, perché spesso si dimentica il fondamento morale e metafisico del diritto.Oggi prevale una concezione meramente legalista e formalista, che tende a ridurre il diritto a un mero strumento nelle mani di chi ha il potere (cfr. Don Arturo Cattaneo, Fondamenti ecclesiologici del Diritto canonico, Marcianum Press, Venezia 2011). Secondo il positivismo giuridico penetrato all’interno della Chiesa è giusto ciò che l’autorità promulga. In realtà lo Ius divinum è a fondamento di ogni manifestazione del diritto e presuppone la precedenza dello jus rispetto alla lex. Il positivismo giuridico inverte i termini e sostituisce l’esercizio della lex alla legittimità dello jus. Nella legge si vede solo la volontà del governante, e non il riflesso della legge divina, per la quale Dio è il fondamento di tutti i diritti. Egli è il Diritto vivente ed eterno, principio assoluto di tutti i diritti (cfr. Ius divinum, a cura di Juan Ignacio Arrieta, Marcianum Press, Venezia 2010).È per questo che, in caso di conflitto tra la legge umana e quella divina, «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At. V, 29). L’obbedienza è dovuta ai superiori perché rappresentano l’autorità stessa di Dio ed essi la rappresentano  in quanto custodiscono e applicano la legge divina. San Tommaso afferma che è meglio affrontare l’immediata scomunica della Chiesa, ed esulare in terre lontane ‒ dove il braccio secolare non arriva ‒ piuttosto che obbedire ad un ordine ingiusto: «ille debet potius excommunicatione, sustinere (…) vel in alias regiones remotas fugere» (Summa Theologiae, Suppl., q. 45, a. 4, ob. 3).L’obbedienza non è solo un precetto formale che ci spinge a sottometterci alle autorità umane: è prima di tutto una virtù che incammina verso la perfezione. Abbraccia in maniera perfetta l’obbedienza non chi ubbidisce per interesse, timore servile, o affezione umana, ma chi sceglie la vera obbedienza, che è l’unione della volontà umana con la Volontà divina. Per amore di Dio dobbiamo essere pronti a quegli atti di suprema obbedienza alla sua legge e alla sua Volontà che ci sciolgono dai legami di una falsa obbedienza, che rischia di farci perdere la fede. Purtroppo oggi vige un malinteso senso dell’obbedienza, confinante talvolta con il servilismo, in cui il timore del’autorità umana prevale sull’affermazione della verità divina.La resistenza agli ordini illegittimi è talvolta un dovere, verso Dio e verso il nostro prossimo, che ha bisogno di gesti di esemplare densità metafisica e morale. I Francescani dell’Immacolata hanno ricevuto ed accolto da Benedetto XVI il bene straordinario della Messa tradizionale, impropriamente detta “tridentina”, che oggi migliaia di sacerdoti celebrano legittimamente un tutto il modo. Non c’è modo migliore di esprimere la loro riconoscenza a Benedetto XVI per il bene ricevuto e di manifestare allo stesso tempo il proprio sentimento di protesta verso un’ingiustizia subita, che di continuare a celebrare in tranquilla coscienza il Santo Sacrificio della Messa secondo il Rito romano antico. Nessuna legge contraria li obbliga in coscienza. Forse pochi lo faranno, ma il cedimento per evitare mali maggiori, non servirà ad allontanare la tempesta che infuria sul loro istituto e sulla Chiesa.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/lex-dubia-non-obligat/

mercoledì 7 agosto 2013

Quella sberla ai Francescani nella chiesa di Francesco

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro


E così, l’istituto dei Francescani dell’Immacolata è stato commissariato e affidato chiavi in mano a un frate cappuccino. Padre Fidenzio Volpi, così si chiama il Commissario apostolico, si è presentato con una lettera che, a parte il tradizionale “Pace e bene”, sembra ricalcata su quelle dei burocrati di Ceasusescu: sterminata citazione del capo seguita da minacciosa conclusione.
Dal combinato disposto della missiva del commissario con il relativo decreto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, si evince che i frati Francescani dell’Immacolata, con il loro pallino per la Messa in rito antico e il Breviario tradizionale l’hanno combinata proprio grossa: hanno commesso il peccato di lesa “ecclesialità”. Hanno portato nocumento a quel brumoso concetto, caro a papa Francesco, nel quale tra poco verranno magari inseriti gli abbondanti frutti spirituali del ramadan musulmano esaltati nel blitz di Lampedusa, ma non quelli della Messa in latino.
“Il Santo Padre Francesco” recita il decreto della Congregazione “ha disposto che ogni religioso della Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l’uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta”.
Qui sta la prima, grande sorpresa di questo provvedimento: nell’interpretazione unanime dei mass media, Josè Mario Bergoglio è un papa fortemente orientato alla misericordia, alla tenerezza, all’attenzione al punto di vista altrui, al dialogo. In poche parole, una versione 2.0 del “papa buono” di roncalliana memoria.
Ora, leggendo i due documenti che si abbattono con pugno di ferro sui Francescani dell’Immacolata, di questa bonomia, di questa logica della tolleranza davvero non ve n’è traccia.
Come il Texas del visionario Cormac McCarthy, questa Chiesa non è un paese per vecchi. Quando la realtà si confonde con la fantasia psichedelica più sfrenata, per fare chiarezza bisogna affidarsi a certe pagine della letteratura. Se quella dei vescovi che si dimenano in mondovisione agli ordini di un Fiorello da strapazzo al rito di “Flashmob” è la Chiesa giovane di Francesco tanto amata dal mondo, se il modello subito scovato dai media per la nuova frontiera degli eventi ecclesiali che tanto si confanno al papa che viene dalla fine del mondo è Woodstock, risulta difficile trovare un posto per i poveri Francescani dell’Immacolata. Loro che si fanno fotografare tutti insieme, gli uomini da un parte e le donne dall’altra con tanto di saio e la statua della Madonna in primo piano.
Loro che pregano, digiunano, si mortificano, celebrano e celebrano la Messa senza straziare il povero Corpo di Cristo. Loro che praticano e insegnano un morale improntata al più vivo rigore. Loro che vanno in missione a portare Cristo prima della pasta al pomodoro e dell’aspirina. Loro che sono poveri e umili senza ostentazioni e senza mettersi in favore di telecamera e di obiettivo fotografico come va di moda sotto il nuovo pontificato.
Questi provvedimenti draconiani disegnano una Chiesa che  giudica vecchi i Francescani dell’Immacolata, pericolosi deviazionisti dalla rotta (per la verità piuttosto incerta) dell’ecclesialità contemporanea. Vecchi questi religiosi? Loro che sono nati solo nel 1970, attraverso un percorso di recupero della originaria spiritualità di Francesco d’Assisi, tutta incentrata su Maria, sui sacramenti, sulla preghiera e la mortificazione. Pericolosi per la cattolicità i Francescani dell’Immacolata? Questi fraticelli miti e queste suore oranti, che si rifanno alla gigantesca figura di Padre Massimiliano Kolbe, il francescano conventuale che aveva in testa il sogno di avvolgere il mondo in un mare di fogli di stampa cattolica. Si parla di quel Padre Kolbe che morì in un lager nazista offrendo sé stesso al posto di un detenuto padre di famiglia.
L’agonia di Massimiliano durò due settimane senza acqua né cibo, mentre la maggioranza dei condannati era morta di stenti. Sopravvissero in quattro, tra cui Kolbe, e continuavano a pregare e cantare inni a Maria. Le guardie delle SS addette alla custodia non ne poterono più, e finirono il prete cattolico con un’iniezione di acido fenico. Era 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell’Assunzione di Maria. All’ufficiale medico nazista che gli fece l’iniezione mortale nel braccio, Padre Kolbe disse: «Lei non ha capito nulla della vita…» e mentre l’ufficiale lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «…l’odio non serve a niente… Solo l’amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria». Le stesse parole con cui i Francescani dell’Immacolata oggi salutano nei cinque continenti ogni persona che incontrano.
Qual è dunque la ratio di questi provvedimenti che decapitano i Francescani del loro fondatore? Si commissaria un ordine religioso che conquista vocazioni tra i ragazzi e ragazze che amano impegnarsi in qualcosa di serio e di grande. E quindi di difficile. Evidentemente, c’è chi ritiene che questa Chiesa non sia un paese per loro. Almeno fino a quando continueranno, o purtroppo avranno continuato, a essere così e a fare della tradizione e della liturgia tradizionale l’alimento da cui trarre forza. Ecco il nodo, ecco forse la pietra dello scandalo: da anni i Francescani dell’Immacolata – in un regime per altro bi ritualista – hanno recuperato la celebrazione e la teologia della messa di San Pio V, della messa di sempre.
Giunti a questo indizio, a questo elemento probatorio a carico dei religiosi dal saio azzurrino, si può concludere che c’è della logica in quanto sta accadendo. E qualsiasi logica che si rispetti non può essere inclusiva. Non fino al punto di tenere insieme il carnevale di Rio e la Messa gregoriana. L’et et che troppi cattolici hanno stiracchiato per ogni dove rendendolo liso e pieno di buchi si è rotto proprio dove ha incontrato dei frati che hanno mostrato che il genio di San Francesco non è stato rivoluzionario ma tradizionale. E che una famiglia francescana, numeri alla mano, torna a fiorire quando riprende a lottare con il mondo invece che a farselo amico.
Perché il cattolicesimo, che ha al vertice della sua teologia San Tommaso d’Aquino, non può essere ridotto a una gigantesca poltiglia irrazionale, a un vago sentimento pompato dalla sapiente regia dei mass media. La trasmissione della fede avviene in una drammatica e insieme fantastica lotta fra l’anima di ogni singolo individuo e il suo Creatore. Questo appuntamento decisivo può forse, nella migliore delle ipotesi, essere propiziato da adunate oceaniche. Ma nessuno torna da un evento massivo e massificante con la conversione in tasca: per proseguire su quel cammino, ci vuole la grazia sacramentale.
Qui si inserisce la prima osservazione che l’incredibile vicenda del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata ci suggerisce: è in atto da decenni, in una fetta preponderante della teologia sedicente cattolica, un’operazione essenzialmente luterana, di de-sacramentalizzazione della Chiesa. Si parla di Cristo, si parla del Vangelo, si parla delle beatitudini, si parla dei poveri, ma sganciandosi progressivamente, in modo prima lento e poi veloce ed inesorabile, dalla centralità assoluta dei sacramenti. A cominciare dalla Messa, passando poi per la confessione, la cresima, il battesimo.
Quale parroco, ormai, ha fretta di battezzare un bambino? SI fa tutto con una calma olimpica, perché tanto, ormai, in Paradiso ci si va comunque. Karl Rhaner e la sua teoria dei “cristiani anonimi” hanno vinto la partita, e reclamano il loro trofeo: una Chiesa nella quale i sacramenti non sono più necessari. Basta sostituirli con una serie di gesti, scatenando lo spirito creativo del Popolo di Dio e di quello che resta dei suoi pastori. Si passa così dal karaoke al rosario, o dal Flashmob alla confessione, con la stessa disinvoltura con cui Fantozzi passava dalla cucina al salotto, fasciato nei suoi indimenticabili mutandoni e canottiera. Così ci si fa belli agli occhi del mondo, ci si mostra moderni e aperturisti, liquidatori di turiboli incensanti, preti rigidamente avvolti in splendide pianete, magari addirittura girati verso l’altare. Ora, i Francescani dell’Immacolata sono indiscutibilmente del tutto estranei a una simile ecclesiologia anti-sacramentale. E probabilmente è per questo che qualcuno vuole toglierli di mezzo.
C’è una seconda, amara constatazione suggerita da questa vicenda: fu Joseph Ratzinger, ex Papa ed ex cardinale vivente, a inventare la categoria delle “minoranze creative”. Tradotto per il volgo, Benedetto XVI pensava a gruppi di cattolici tosti che, pur partendo dalla consapevolezza di essere pochi e magari nemmeno buoni, si battessero in modo intelligente come truppe scelte dentro il ventre di un mondo secolarizzato e ostile. Gente, insomma, controcorrente e per nulla prona al conformismo e al pensiero unico. Bene: i Francescani dell’Immacolata sono un esempio formidabile di questa categoria di credenti. Chi li perseguita deve sapere che sta combattendo contro le “minoranze creative” di cui parlava Ratzinger.
Terza e conclusiva considerazione: il commmissariamento dei Francescani rivela il permanere, che dura ormai da cinquant’anni, di una sorta di “degasperismo psicologico” nel modus operandi delle gerarchie cattoliche. Il politico trentino definì una volta la democrazia cristiana “un partito di centro che guarda a sinistra”. La Chiesa post conciliare ha assunto in molti dei suoi uomini esattamente questo schema mentale. Per questi prelati, o teologi, o parroci di periferia, il pericolo viene sempre e soltanto da destra.
Le migliaia di suore americane che professano e praticano tesi palesemente non cattoliche alla fine se la cavano con un buffetto e con parole piene di rispetto e di comprensione; i Francescani dell’Immacolata finiscono commissariati. Si potrebbero fare centinaia di esempi di questo genere, scelte che in pochi lustri hanno lentamente trasportato il baricentro dell’ecclesiologia ufficiale a sinistra. Prova ne sia, ad esempio, il silenzio del mondo cattolico ufficiale di fronte all’approvazione imminente di una legge liberticida come quella sulla cosiddetta omofobia. La regola è sempre la stessa: ci si allinea con il mondo nel combattere ciò che appartiene più o meno a un pensiero tradizionale, si tace o addirittura si applaude agli slogan del luogocomunismo progressista. Per riprendere il titolo di un lucido pamphlet dedicato alla Dc dallo storico Roberto de Mattei, è proprio questo il “centro che ci portò a sinistra”.
Ora, a fronte di qualunque sia la decisione dei Francescani dell’Immacolata circa l’intimazione di non celebrare più la Messa in rito gregoriano dal 12 agosto, rimane l’iniquità della sanzione. E rimane la libertà della coscienza di non soggiacere a un ordine palesemente ingiusto. Se la Congregazione vaticana ritiene che il fondatore abbia imposto con la forza l’adozione del rito antico, i suoi frati dimostrino che invece l’hanno seguito in coscienza e quindi continueranno a fare ciò che nessuna legge della Chiesa non proibisce a nessun sacerdote.
Impugnare un procedimento ingiusto e resistervi in piena coscienza è quanto di più terribile possa temere chi esercita un potere iniquo. C’è qualcosa di misteriosamente e tremendamente metafisico nel singolo individuo che si presenta davanti al superiore per dichiararlo ingiusto: è la dichiarazione che non agisce come esigerebbe il suo essere, che è qualcosa di meno, di non rispettabile. Per questo i totalitarismi comunisti esigevano che le vittime sottoscrivessero la propria condanna. Perché, in definitiva, la legittimazione non veniva dalla propria forza e dalla propria prepotenza, ma dalla debolezza e dall’arrendevolezza altrui.
Se l’anomalia dei Francescani dell’Immacolata verrà tolta di mezzo senza che le vittime di un provvedimento iniquo abbiano in qualche modo resistito, sarà compiuto, prima di tutto, il male della Chiesa. Perché si consentirà a chi occupa le posizioni di potere di essere sempre un meno di ciò che dovrebbero essere. Anche se tutto questo si nasconde dietro l’immagine mediatica di un pontificato tenero e misericordioso. La Chiesa non è un’istituzione da far cadere, ma da amare e curare. Anche con la decisione e la forza.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/quella-sberla-ai-francescani-nella-chiesa-di-francesco-appello/


martedì 6 agosto 2013

Vaticano II. Un dibattito aperto di don Jean-Michel Gleize

di Cristina Siccardi


Ignorare i problemi, non significa risolverli; rimuoverli significa dare ad essi la possibilità di svolgere la loro opera corrosiva e distruttiva. Il Concilio Vaticano II è un problema, la cui risoluzione continua ad essere posticipata, mentre la secolarizzazione ha trovato sempre più terreno fertile, in ogni ambiente, sia laico che ecclesiastico.Lo spiega un chiaro e solido saggio di don Jean-Michel Gleize, Vaticano II. Un dibattito aperto. Questioni disputate sul XXI Concilio Ecumenico (Editrice Ichthys, 2013, pp. 225, € 20.00). L’autore, che dal 2009 al 2011 ha preso parte ai colloqui dottrinali con la Santa Sede richiesti alla Fraternità Sacerdotale San Pio X da Benedetto XVI, nel suo studio affronta tre grandi tematiche e la loro indivisibile correlazione: la Tradizione, il Magistero, la Fede. La seconda parte è strutturata in forma di undici quaestiones disputatae, secondo la metodologia classica della Scolastica. Ciascuna questione si compone a sua volta di tre parti: l’elenco delle obiezioni; il principio di base della risposta; le risposte alle obiezioni.Testi come Lumen gentium, dove viene presentata la Chiesa come «popolo di Dio», Nostra aetate sulle religioni non cristiane, Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e Dignitatis humanae sulla libertà religiosa «conducono effettivamente e con ragione a domandarsi, come dice il cardinale Ratzinger, “se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se l’hanno cambiata con qualcos’altro senza dirlo alla gente”» (p. 7). A tutti sono evidenti i grandi cambiamenti (usi e costumi) avvenuti nella Chiesa, cambiamenti anche nella trasmissione della stessa dottrina da sempre insegnata dalla Sposa di Cristo, la quale è al servizio della Verità, dunque responsabile della salvezza di ognuno e delle genti verso le quali è tenuta ad essere missionaria, come insegnò il Salvatore agli Apostoli (Mc. 16,15-18).
Fra i XXI Concili della storia della Chiesa soltanto l’ultimo, il Vaticano II, non è dogmatico, ma pastorale e soltanto l’ultimo è stato indetto non per risolvere scottati questioni, ma per relazionarsi familiarmente con il mondo “moderno” di allora, un mondo entrato oggi nel “postmoderno” e in traumatica crisi religiosa, etica, sociale, politica, economica. «Il concilio di Nicea mise un termine a un disordine che si era già introdotto precedentemente nella Chiesa, e l’eresia ariana è progressivamente regredita fino a scomparire proprio grazie all’applicazione degli insegnamenti di quel Concilio. Dopo il Vaticano II, invece, si è costretti a constatare che le cose non sono andate così: che il disordine si sia introdotto nella Chiesa a partire dal Concilio è un fatto riconosciuto da tutti. A distanza di cinquant’anni, poi, il disordine è divenuto endemico e si è normalizzato. La causa è da ravvisare unicamente nel conflitto di due ermeneutiche opposte?» (p. 6).
Fu proprio Benedetto XVI, nell’ ormai storico discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 a paragonare i 50 anni del post Concilio al periodo successivo al Concilio di Nicea (325), citando le parole di san Basilio Magno (329-379): «Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa, falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede» (p. 5).
Sul soglio di san Pietro è mutato il Pontefice, ma i problemi sono rimasti gli stessi. Sarà la Divina Provvidenza, con gli uomini di buona volontà, a sciogliere i terribili nodi, Lei che «sa sempre e infallibilmente scrivere dritto sulle linee storte degli interventi umani nell’opera della redenzione» (p. 4).

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/vaticano-ii-un-dibattito-aperto-di-don-jean-michel-gleize/


domenica 4 agosto 2013

Assisi, roccaforte del Francescanesimo

di Margherita del Castillo


Francesco fu proclamato santo da Gregorio IX il 16 luglio 1228. Il giorno seguente il Pontefice fu invitato sul monte Subasio per benedire la prima pietra della chiesa che da lì a due anni avrebbe accolto la salma del Poverello di Assisi. Culmina qui il nostro cammino sulle orme del Santo, sul colle fuori dalla porta occidentale della città umbra, dove Frate Elia, primo priore dell’Ordine, intraprese la costruzione della basilica inferiore, divenuta roccaforte del Francescanesimo.
Ed a una fortificazione, di fatto, questa chiesa assomiglia, con quei suoi contrafforti poderosi che la sostengono sul pendio. L’interno, cui si accede attraverso un portale duecentesco, ha pianta a forma di Tau, simbolo francescano per eccellenza. Alla fine del XIII secolo alla struttura originaria si aggiunsero l’atrio d’ingresso e le cappelle laterali, la cui apertura comportò la perdita di parte delle Storie di San Francesco e Storie della Passione affrescate sulle pareti della navata centrale da un pittore umbro attivo intorno alla metà del 1200.
La Cappella della Maddalena è la terza sul lato destro: la sua decorazione venne affidata a Giotto di Bondone nei primi anni del 1300 (1307 -1308) anche se l’attribuzione al maestro non è condivisa da tutti gli studiosi che chiamano in causa, piuttosto, la sua bottega. Volta e pareti sono interamente ricoperte di affreschi che riproducono, rispettivamente, coppie di santi ed episodi della vita della Maddalena. Pochi anni più tardi l’altro grande pittore del Trecento, Simone Martini, realizzò le storie di San Martino nell’omonima cappella (la prima sul lato sinistro). Ad entrambi e ad altri illustri artisti quali Cimabue e Pietro Lorenzetti si deve lo splendore del presbiterio al centro del quale è collocato l’altare gotico, in perfetta corrispondenza con la tomba del Santo nella cripta sottostante, vero cuore di tutto il complesso.
Tipico esempio di gotico italiano è la Basilica superiore, con facciata a capanna decorata da un rosone centrale e aula unica interna attraversata da archi a sesto acuto, coperta da volte a crociera e conclusa da transetto e abside poligonale. Anche qui il programma iconografico, vera e propria bibbia per i poveri, intrapreso fin dalla consacrazione della chiesa del 1253, fu portato avanti da maestri eccelsi, cominciando da Cimabue cui, dal 1277, si devono due grandi Crocefissioni, le storie di Maria e quelle dell’Apocalisse nella zona presbiteriale, ora in cattivo stato di conservazione.
Il ciclo più famoso è senz’altro quello del registro inferiore della navata con le Storie di San Francesco (1290 – 1296?) , ispirate alla Legenda Maior di San Bonaventura da Bagnoregio, biografia ufficiale del Santo.  La tradizione storiografica più antica attribuisce gli affreschi a Giotto: probabilmente eseguiti da mani diverse, i ventotto riquadri hanno indotto gli studiosi ad aprire una questione giottesca, tuttora irrisolta. Il forte realismo, l’eloquenza delle espressioni e dei gesti, la rivoluzionaria inquadratura prospettica delle architetture raffigurate hanno, comunque, segnato una svolta decisiva nella storia della pittura occidentale che da allora non sarebbe stata più la stessa.
Questa specialis ecclesia, elevata da Benedetto XIV nel 1754 alla dignità di Basilica Patriarcale e Cappella Papale è da sempre meta di incessanti pellegrinaggi di fedeli che invocano il Pellegrino di Dio affinché da uomini distratti possano diventare “cercatori attenti del Signore in ogni cosa”.

Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-assisi-roccaforte-del-francescanesimo-7007.htm

sabato 3 agosto 2013

Dio parla nel silenzio

Considerazioni sugli esercizi spirituali di Sant'Ignazio di Loyola
di Matteo D'Amico


La Provvidenza di Dio si manifesta in molti modi, anzi, per dire meglio, tutto ciò che accade manifesta, in realtà, la grandezza, la sapienza e la profondità della sua Provvidenza. Ma, se tutto, in un certo senso, è segno e manifestazione dell’infinita e santa Provvidenza del Creatore di tutte le cose, è però anche vero che forse nulla la testimonia come il fatto che in ogni epoca Dio suscita i santi ad essa più opportuni, adatti e quasi, diremmo, necessari.
Ogni santo è infatti strumento nelle mani di Dio per rafforzare il popolo cristiano, difendere la Chiesa dai suoi nemici, debellare l’errore o l’eresia infiltratisi fin nel seno della Sposa di Cristo, edificare i popoli e dilatare il regno di Cristo nostro Signore sulla Terra.
Chi non riconoscerebbe, infatti, la perfetta risposta ai mali dell’epoca che hanno rappresentato un san Benedetto o un san Gregorio Magno, un san Francesco o un san Domenico, una santa Margherita Alacoque o un san Paolo della Croce, una santa Veronica Giuliani o un san Giovanni Bosco? Ma in realtà ogni santo, senza eccezione, è sempre voluto e suscitato da Dio per un compito preciso, in vista di una battaglia particolare al servizio della Chiesa e viene munito dei carismi, dei doni delle ispirazioni e delle grazie necessarie alla missioni affidatagli.
Questo è anche il caso del grandissimo sant’Ignazio de Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Sant’Ignazio viene suscitato dal Signore in vista della grande guerra civile europea che avrebbe visto scontrarsi, nei secoli successivi, il mondo protestante, vera armata di Satana, e la Chiesa cattolica. Certo, quando si pensa ai gesuiti vengono in mente innanzitutto i suoi grandi missionari, i suoi martiri, la riconquista di regioni e stati eretici a Cristo, la grande cultura e preparazione teologica che da subito li distinse, i Collegi che fondarono in tutto il mondo e la tradizione pedagogica alla quale diedero inizio.
Eppure, nonostante i grandissimi meriti che in ogni campo accumularono, tanto che l’assalto delle rivoluzioni settecentesche e ottocentesche agli stati cattolici non può avere corso se non dopo la soppressione di tale ordine religioso, il più grande dono che sant’Ignazio ha fatto alla Chiesa sono sicuramente i suoi Esercizi Spirituali.
Come noto nel lungo ritiro (1522) che Ignazio condusse nella grotta di Manresa ne ricevette l’ispirazione dalla Santa Vergine stessa e li compose in un testo autografo, poi andato perduto. Da allora iniziò a darli e a farli dare regolarmente dai suoi confratelli ottenendo frutti di conversione e di santificazione straordinari. Il caso più famoso forse, fra i tanti che si potrebbero citare, è quello di san Francesco Saverio, il grande missionario delle Indie, che in circa dieci anni di missione battezzò più di un milione di persone (una media matematica di 273 battesimi al giorno!) e fece edificare qualcosa come 6000 chiese e cappelle (una media di 1,6 chiese nuove al giorno!). Ebbene san Francesco Saverio non provava molta simpatia per sant’Ignazio, come noto, e aveva forti ambizioni mondane; ma sant’Ignazio, che aveva compreso la straordinaria tempra, la nobiltà e la forza di carattere di quest’uomo, deciso a conquistarlo a Cristo in ogni modo, lo convinse a fare gli esercizi e per un mese lui personalmente glieli diede: Francesco Saverio, grazie agli esercizi, si convertì profondamente e divenne poi quell’eroico missionario che abbiamo visto sopra.
Quasi non ci sono parole per dire la grandezza degli Esercizi, e parleremo qui, va notato, solo di quelli condotti in cinque giorni, dal mezzogiorno del lunedì, al mezzogiorno del sabato, secondo il metodo messo a punto da padre Vallet negli anni ’30, non degli esercizi nella loro struttura originaria, che prevedono un ritiro di 30 giorni e la cui ricchezza e fruttuosità pensiamo si possa solo a stento immaginare.
Gli Esercizi sono così ricchi di doni spirituali, di grazie, di consolazioni, di rivelazioni, di aiuti soprannaturali che ci si stupisce di come, facendo, in fondo, così poco, si possa ottenere tanto. Sembra che il Signore ami quasi scherzare con chi vi si reca, e si diverta a stupirlo con l’abbondanza delle grazie e delle consolazioni che gli dona in cambio di sforzi tanto semplici ed elementari. Il contrasto è così forte che pare che, in cambio di esercizi che potrebbero essere paragonati alle regole di un gioco per fanciulli, Dio si compiaccia di regalare tesori il cui valore e la cui preziosità a stento si possono esprimere. Con ciò noi siamo, in fondo, già giunti al cuore e al fondamento di tutta la vita spirituale, quale ci viene svelata proprio dagli Esercizi. Infatti, se si ottiene la grazia di liberarsi da ogni illusione circa ciò che sta a fondamento della vita cristiana, noi scopriamo proprio che la nostra santificazione, che ogni nostra crescita nella vita di fede, altro non è che opera immensa e sublime di Dio in noi, opera svolta dal Creatore di tutte le cose a fronte soltanto delle nostre umili preghiere e del nostro sforzo, sempre imperfetto, di donarci a lui con sincerità e con filiale abbandono. In altre parole ciò che accade durante gli Esercizi può essere visto anche come una figura limpida e concentrata di tutta l’opera della salvezza operata da Cristo nel cuore di ogni fedele: in contraccambio del poco, del quasi nulla, vorremmo dire, che noi facciamo, purchè ci sia almeno un desiderio sincero di donarci a Lui, Gesù ci ricolma di ogni grazia.
Il breve e semplice testo che qui presentiamo non ha l’intenzione di ricostruire la storia degli Esercizi Spirituali, impresa che richiederebbe ben altra forza e preparazione, né di analizzarli compiutamente dal punto di vista della ascetica e della mistica cristiana, ma si propone solo di cercare di coglierne il significato spirituale e di dare una semplice descrizione del loro andamento, del loro svolgersi; la nostra speranza è però soprattutto che, a Dio piacendo, le nostre povere parole possano suscitare in chi ancora non li ha mai fatti un vivo desiderio di conoscerli direttamente e di farli al più presto; in chi li ha già fatti, magari molti anni fa, il fermo proponimento di tornare a farli il più presto e il più regolarmente possibile.

Ritiro
Il ritiro spirituale precede ed è più antico, ovviamente, degli Esercizi spirituali, ma la prima cosa che si deve osservare è proprio che gli Esercizi non escludono, ma anzi includono e si fondano virtuosamente e armoniosamente sulla solida base del ritiro spirituale. Fin dall’Antico Testamento abbiamo innumerevoli esempi di ritiri spirituali cercati dai patriarchi o dai profeti come momenti di faccia a faccia con Dio, di ascolto della sua voce, di raccoglimento e di ristoro. Nel Nuovo Testamento Maria Vergine, la cui vita era tutta impareggiabilmente ritirata e silenziosa, san Giuseppe e san Giovanni Battista, sono grandi esempi di profondissimo ritiro spirituale, nel caso del Battista elevato, si può dire anticipando tutto il monachesimo dei secoli successivi, a stato di vita scelto formalmente e praticato in modo eroico e radicale. Nostro Signore Gesù Cristo, volendo anche in questo essere a noi di esempio, dopo una vita nascosta durata trent’anni di abissale e insondabile silenzio e raccoglimento –una vita che, come quella della Vergine Immacolata, era già un ritiro profondissimo dal mondo– si prepara alla sua vita pubblica, ovvero al cammino che in pochi anni culminerà nella Sua santa Passione e nella Croce, con un ritiro di quaranta giorni nel deserto, nel digiuno più assoluto e nella preghiera più costante.
Ora, se è vero che la vita del cristiano dovrebbe essere, a imitazione di quella del divin Redentore, tutta e sempre ritirata, ovvero dominata da un profondo raccoglimento spirituale, dal silenzio, dalla meditazione, dalla non dissipazione di sé, è altrettanto vero che non è possibile mantenere questo stato spirituale di raccoglimento senza vivere, almeno in periodi determinati, momenti di vero e proprio ritiro, anche fisico, dal mondo. Gli Esercizi offrono innanzitutto questa possibilità e proprio in ciò sta la loro prima virtù: anche al di là delle loro specificità, che vedremo più avanti, sono una splendida occasione di ritiro. Dunque è del tutto vano contrapporre ritiro ed Esercizi, come se fossero due cose radicalmente diverse; al contrario, gli Esercizi incorporano in sé tutto ciò che fa parte di un ritiro, con in più alcuni elementi caratterizzanti che non troviamo altrove.
È infatti importante osservare che il luogo in cui si svolgono gli Esercizi deve essere, e normalmente è, ritirato, isolato, silenzioso, in un certo senso protetto dalla continua pressione del mondo che normalmente avvertiamo e che grava anche sulla persona più spirituale.
Il ritiro è essenziale per ritornare pienamente in sé e ascoltare con attenzione e devozione le parole che il Signore, con la sua infinita dolcezza e discrezione, non cessa di dirci, senza che, normalmente, riusciamo pienamente a comprenderle.
Certo è importante, perché si entri durante gli Esercizi in un ardente e luminoso deserto spirituale, intessuto di silenzio e di ascolto, che essi siano predicati secondo la vera tradizione della Chiesa, secondo la sapienza antica che li ha sempre governati e da sacerdoti lungamente esercitatisi nella difficile arte di darli. Il ritiro che accompagna e permea di sé gli Esercizi non sarebbe tale se, ad esempio, non venisse consegnato il cellulare all’inizio di esso e se non si lasciasse ogni contatto con la famiglia, con la casa, con gli amici, con il lavoro, rinunciando a telefonare, a lavorare, a controllare le e-mail, a parlare, a leggere il giornale e a essere informati. Questo rescindere ogni contatto con il mondo al quale normalmente apparteniamo è quasi figura di quella purificazione del cuore che è giusto e doveroso cercare e attendersi dagli Esercizi: come la più piccola affezione disordinata alle creature, per quanto nascosta, impedisce da sola   una vera crescita spirituale e la santificazione delle anime; allo stesso modo il voler mantenere anche solo un tenue contatto con il mondo (ad esempio una telefonata di controllo la sera, per vedere se tutto va bene, e se il mondo continua a girare nonostante la nostra assenza…) sarebbe già sufficiente a impedire dei buoni Esercizi. È necessario dunque andare e affrontare gli Esercizi profondamente decisi a “rompere” per cinque brevi giorni ogni contatto con il mondo, profondamente decisi a vivere un ritiro assoluto da ogni cura, da ogni preoccupazione, da ogni interesse mondano, mascherato magari da zelo per la propria famiglia.

Silenzio
La dimensione di ritiro che caratterizza gli Esercizi di sant’Ignazio si manifesta anche in quella che è forse avvertita come la loro nota più intensa e importante, ovvero il silenzio. “Ritiro silenzioso, ritiro meraviglioso” si sente spesso ripetere dai sacerdoti, ed in effetti gli esercizi senza un profondo silenzio sono quasi inconcepibili. Con silenzio non intendiamo solo alludere al silenzio della bocca, alla necessità di non parlare con nessuno degli altri partecipanti, ma anche al “silenzio degli occhi”, ovvero   al dominio di quella curiosità disordinata che ci spinge a cercare di scrutare e vedere sempre il volto delle persone che incontriamo e che ci circondano e a osservare ciò che fanno. Questa curiosità degli occhi sembra un elemento insignificante, ma è invece un grave ostacolo a una vera vita spirituale e una porta lasciata aperta a mille dissipazioni e distrazioni, a innumerevoli tentazioni.  
Dunque, se il silenzio come rinuncia a parlare rappresenta quasi lo sfondo naturale degli Esercizi, il silenzio degli occhi lo completa e lo arricchisce di una dimensione altrettanto importante. E qui va osservato che in realtà i “due” silenzi, della bocca (la rinuncia a parlare), e degli occhi (la rinuncia a guardare), sono in realtà un unico grande silenzio, rappresentano due gesti che si compongono e si sostengono reciprocamente, tanto che sembra impossibile si dia l’uno senza l’altro. Gli occhi bassi, lo sguardo sorvegliato mentre si passeggia o ci si sposta lungo i corridoi sono un potente aiuto a evitare di parlare con chi incontro: non vedendo chi è, è meno forte l’eventuale desiderio di parlargli.
Si può a questo punto osservare che, in un certo senso, la qualità degli Esercizi e dei frutti che se ne trarranno dipende in larga misura dalla perfezione del silenzio in cui volontariamente ci si rinchiude, in cui ci si sprofonda come in una gioiosa solitudine, in un deserto invisibile che dolcemente ci avvolge da ogni parte. Ci si accorge subito, dal primo giorno, che si sarebbe potuto essere più attenti, più scrupolosi, più fedeli, che in molte occasioni abbiamo ceduto, sia pure per un istante brevissimo, alla curiosità, che abbiamo fatto un sorriso o scambiato uno sguardo, o che, pur evitando di osservare il volto delle persone che stanno vicino a noi, abbiamo prestato attenzione alla loro persona, siamo stati attenti ai loro movimenti, abbiamo cercato di intuire di chi si trattasse.
Se si vogliono fare dei buoni Esercizi non basta dunque accettare il silenzio passivamente e quasi a malincuore, sopportandolo con fatica e senza zelo: al contrario, occorre sceglierlo, amarlo, rispettarlo con “fanatica” determinazione dal primo istante, imporsi di arrivare alla fine del ritiro senza avere riconosciuto nessuna delle persone che sono in ritiro con noi. La nostra solitudine deve essere, se possibile, assoluta e ininterrotta. Fra i tanti frutti che dà il silenzio vissuto con vero ardore e come primo atto di amore per Gesù durante gli Esercizi, bisogna annoverare anche il fatto forse più importante, ovvero che esso aiuta ad acquisire un habitus morale che, con l’aiuto di Dio, si può –e si dovrebbe!– mantenere, almeno in parte, anche nella propria vita quotidiana, nei viaggi, al lavoro, durante i momenti di ricreazione, a scuola.
Certo però il silenzio non sarebbe autentico e non sarebbe cristiano e spiritualmente edificante se non fosse tutto intessuto di giaculatorie, di preghiere, di colloqui ora brevi, ora più intensi e prolungati, con Gesù, con Maria, con i santi a noi più cari, se non fosse pervaso di un’immensa gratitudine per la bontà di Dio, così manifesta già solo nel fatto di averci concesso di essere appunto agli Esercizi. È dopo un silenzio vissuto davvero con amore pieno che si possono iniziare a capire le frasi abissali del cardinal Mercier, contenute nel suo scritto su La mortificazione cristiana: “Fatevi dimenticare con il vostro silenzio”, “Non parlate mai di voi né in bene, né in male”.
Abituati ad agire, a parlare, a dare importanza alle cose, alle decisioni, agli incontri, all’essere informati, al seguire le vicende sempre diverse e sempre uguali del mondo, ecco che si viene lentamente rieducati ad amare l’unica cosa necessaria, l’intimità, l’amicizia, la fedeltà, la vicinanza a Nostro Signore, la contemplazione delle sue virtù sublimi e del suo amore infinito per noi. Così inteso ogni istante di vero, fervente silenzio diventa un atto d’amore a Gesù.
Non va infine dimenticata la cosa più importante, ovvero che il silenzio non è tanto da pensarsi negativamente, come riducentesi al nostro atto di tacere, ma è realtà soprattutto positiva, consistente nell’operare dello Spirito Santo in noi, nelle parole che   Dio silenziosamente ci porge.

Nutrire la fede
Nulla è più alieno da uno spirito autenticamente cattolico del ridurre la vita di fede a dottrina, o dottrinarismo, a conoscenza intellettualistica degli articoli di fede. La vita del cristiano certo deve fondarsi anche su solide conoscenze dei dogmi della propria fede, ma non può ridursi a questo, non può nutrirsi solo di conoscenza; infatti il dogma stesso diventa vivo solo come dogma contemplato e pregato, portato dentro la propria vita quasi come sua sostanza impalpabile, ma fondante. Gli Esercizi aiutano proprio in questo sforzo sublime ed essenziale, infatti in essi si riceve sì un grande nutrimento di fede, venendo di fatto ricapitolata, giorno dopo giorno, tutta la dottrina cristiana, ma soprattutto ci si abitua a rendere vivo e operante nella propria quotidianità quanto creduto. Ciò che credo infatti, vengo educato a contemplarlo in modo vivo, attuale, esistenzialmente significativo: in altre parole vengo educato a incarnare la mia fede, a superare ogni scissione fra vita e fede. Se non si passa attraverso il dogma contemplato e pregato come durante gli Esercizi, forte è il rischio di una declinazione della fede di tipo moralistico, che ben presto può sfociare nell’aridità o nell’insignificanza, nella tiepidezza o nel fariseismo, nello zelo amaro e nella rinuncia pratica a santificarsi.
Ciò che difficilmente si impara senza Esercizi è la difficile arte dell’applicare a sé quanto credo e quanto prego, del comprendere come non ci sia una parola della Sacra Scrittura, un solo versetto di un salmo, un solo passaggio dell’Ave Maria che io non possa applicare a me, che non descriva un mio bisogno, una mia ferita, una mia povertà, una mia speranza, il mio passato, il mio presente.  

La necessità degli Esercizi discende dunque dal fatto che, senza imparare a fare bene la meditazione ogni giorno, non è possibile una vera crescita spirituale. E senza fare gli esercizi è difficile imparare a fare bene la meditazione. Cinque giorni sono pochi, ma diventano preziosi se in essi imparo qualcosa che illuminerà tutto il resto della mia vita, se faranno di me quasi un altro uomo, deciso ad appartenere tutto e totalmente e sempre a Cristo.

Fonte: http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=1002%3Adio-parla-nel-silenzio&catid=62&Itemid=82


giovedì 1 agosto 2013

Francescani dell’Immacolata e la crisi della Chiesa: perché non si può tacere

di Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro


Come accade spesso nelle tragedie, sono i particolari a dare l’idea della loro enormità, e il caso del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata non fa eccezione.
Il dettaglio è lì, verso il fondo del decreto della Commissione per gli Istituti di Vita Consacrata firmato dal segretario, il francescano Josè Rodriguez Carballo. Vi si dice: «Infine, spetterà ai Frati Francescani dell’Immacolata il rimborso delle spese sostenute da detto Commissario e dai collaboratori da lui eventualmente nominati, sia l’onorario per il loro servizio». Proprio così, con uno sfregio che evoca l’uso dei regimi totalitari di addebitare ai familiari dei condannati il costo delle pallottole usate per l’esecuzione. L’immagine potrà anche apparire forte, ma è la portata clamorosa dell’evento a suggerirla.In una sola mossa, non vengono esautorati solo il fondatore di un ordine fiorente e i vertici che lo assistono, ma anche il Motu proprio di Benedetto XVI che liberalizza la celebrazione della Messa in rito gregoriano, il Pontefice che lo ha emanato e, in definitiva, la Messa stessa. Perché, dopo il dettaglio delle spese a carico della vittima di un provvedimento iniquo, arriva l’affondo finale: «il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l’uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta».Essendo l’unico ordine esplicito contenuto nel documento, è dunque evidente che questo è il problema: la Messa in rito antico. E a cosa conduca il terribile vizio di celebrare tale rito lo spiega il commissario, padre Fidenzio Volpi, nella sua lettera di presentazione composta dal mite saluto «Pace e Bene!», da una chilometrica citazione dell’attuale Pontefice e da una sintetica chiusa che esordisce con un minaccioso «Credo di non dover aggiungere nulla a un pensiero così chiaro e così pressante di Papa Francesco».Secondo padre Volpi, il terribile vizio del rito antico porterebbe al reato di lesa «ecclesialità»: un concetto che vuol dire tutto e niente. Forse, per comprendere che cosa contenga questo termine, bisogna por mente a che cosa è avvenuto a Rio de Janeiro durante la Giornata mondiale delle gioventù, proprio mentre i Francescani dell’Immacolata venivano commissariati. Basti pensare, per fare un solo esempio di quella che i media hanno battezzato «la Woodstock della Chiesa», alla grottesca esibizione dei vescovi che ballano il Flashmob guidati da un Fiorello di quart’ordine: uno spettacolo che neanche il Lino Banfi e il Bombolo dei tempi d’oro avrebbero saputo mettere in scena.Se questa è «ecclesialità», si comprende perché i Francescani dell’Immacolata la violino costantemente: portano il saio, fanno digiuni e penitenza, pregano, celebrano la Messa, praticano e insegnano una morale rigorosa, vanno in missione a portare Cristo prima  dell’aspirina, non combattono l’Aids con i preservativi, hanno una dottrina mariana che poco piace ai fratelli separati di ogni ordine e grado. E poi sono poveri e umili con i fatti invece che con le parole. Stante tutto ciò, la risolutezza disciplinare nei confronti di questo istituto lascia attoniti solo fino a un certo punto. Certo, stupisce una simile durezza nel contesto della Chiesa contemporanea.Una Chiesa nella quale, una volta squillata la campanella dell’intervallo, è iniziata una ricreazione alla quale nessuno ha potuto o voluto mettere fine. Nelle diocesi e nelle congregazioni religiose sparse per il mondo accade di tutto: si insegnano dottrine non cattoliche, si esalta la teologia della liberazione, si sconvolgono le discipline e le regole di ordini millenari, si contesta l’autorità della Chiesa.Ci sono intere “chiese nazionali” che firmano in massa appelli per l’abolizione del celibato, o per il sacerdozio femminile, chiese nelle quali il concubinato abituale dei parroci è diventato un fatto normale e tollerato dalla gerarchie. Una Chiesa nella quale solo i più sprovveduti possono esaltarsi per i tre milioni di partecipanti alla Giornata mondiale della gioventù, mentre in realtà la nave di Pietro procede nel mare in tempesta senza una meta precisa. E, come se non bastasse, sulla nave scarseggia l’equipaggio. Mentre la Congregazione per gli Istituti religiosi usa questi metodi con i Francescani dell’Immacolata che hanno vocazioni copiose in tutti i continenti, in gran parte delle altre famiglie religiose si consuma una spaventosa crisi. Mentre a Roma si affannano a impedire a dei frati francescani di celebrare la Messa che ha fatto secoli di santi e di santità, carmelitani e domenicani, cistercensi e certosini entrano di diritto a far parte delle specie protette dal Wwf.Ma, in questo panorama, per la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, il problema sono i Francescani dell’Immacolata che celebrano nelle due forme consentite dal Motu Proprio Summorum Pontificum. Con il risultato che il divieto di celebrare il rito antico stabilisce una disciplina sulla Messa che scavalca quanto contenuto nel documento di Benedetto XVI. Evidentemente, il provvedimento è da inserire in un’azione anti-Messa antica a più ampio spettro contenuta nel brumoso concetto di «ecclesialità». Un disegno che non è disposto a riconoscere alla Messa in rito gregoriano la capacità di produrre nemmeno i frutti spirituali che l’estemporaneo magistero di Papa Francesco ha riconosciuto al ramadan musulmano.Eppure, il campo liturgico è quello nel quale il laissez faire di Roma ha raggiunto le vette più vertiginose del tragicomico: preti che ballano e cantano i pezzi dei Ricchi e Poveri mentre celebrano un matrimonio, vescovi che in mondovisione si dimenano come in un villaggio Alpitour, prelati che celebrano il novus ordo facendo elevare pissidi e sacre specie a imbarazzate ragazze Gmg in pantaloncini corti, preti che accompagnano la consacrazione con meravigliose bolle di sapone… E il problema su cui scaricare la ferula disciplinare sarebbero i Francescani dell’Immacolata che celebrano la Messa antica. Bisogna riconoscere che, purtroppo, c’è della logica in tutto questo.Per concludere, ci sono le modalità processuali dell’inchiesta che lasciano perplessi. Roma è stata chiamata a intervenire da un gruppo di religiosi dissidenti dei Francescani dell’Immacolata. Gli accusati però non hanno potuto visionare le carte che contesterebbero loro di aver imboccato una deriva preconciliare. Quindi non hanno goduto di quell’elementare diritto di difesa che consiste nel conoscere in modo dettagliato gli addebiti e il capo di accusa. Inoltre, la Congregazione vaticana vuole impedire ai Francescani di porre ricorso, opponendo la diretta volontà del Papa come base del provvedimento. Insomma, sul piano formale la Chiesa della misericordia del postconcilio, quando vuole, sa rispolverare metodi da santa inquisizione.Bisogna credere e sperare che i Francescani dell’Immacolata faranno appello in sede canonica e difenderanno con fermezza il loro buon diritto di sacerdoti della Chiesa cattolica di celebrare la Messa anche nel rito antico. Perché, se mai questi ottimi frati dovessero accettare il diktat, presto seguirebbero altre, più dure repressioni verso coloro che nel mondo celebrano e seguono la Messa di sempre. L’esercizio iniquo del potere fonda la sua forza sul silenzio delle vittime e pretende, anzi, il loro consenso. Ma la storia insegna che hanno avuto la meglio coloro che davanti all’ingiustizia non hanno taciuto, perché impugnare legittimamente un atto iniquo significa scuotere fin nelle fondamenta il potere che lo ha posto in essere. È venuto il tempo di parlare.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/francescani-dellimmacolata-e-la-crisi-della-chiesa-perche-non-si-puo-tacere/

mercoledì 31 luglio 2013

Il "caso" dei Francescani dell'Immacolata

di Roberto de Mattei


Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/ 1350567) si presenta come un episodio di gravità estrema, destinato ad avere all’interno della Chiesa conseguenze forse non previste da chi incautamente lo ha posto in atto.
La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata (conosciuta come Congregazione per i Religiosi), con un suo Decreto dell’11 luglio 2013, firmato dal cardinale prefetto João Braz de Aviz e dall’arcivescovo segretario José Rodriguez Carballo, ofm, ha esautorato i superiori dei Francescani dell’Immacolata, affidando il governo dell’Istituto ad un “commissario apostolico”, il padre Fidenzio Volpi, cappuccino.
Per “blindare” il decreto, il card. João Braz de Aviz, si è munito di un’approvazione “ex auditu”, di Papa Francesco, che toglie ai Frati ogni possibilità di appello alla Segnatura Apostolica. Le ragioni di questa condanna, che ha la sua origine in un esposto alla Congregazione per i Religiosi di un gruppo di frati dissidenti, restano misteriose. Dal decreto della Congregazione e dalla lettera inviata ai Francescani il 22 luglio dal nuovo Commissario, gli unici capi di accusa sembrano essere quelli di scarso «sentire cum Ecclesia» e di eccessivo attaccamento al Rito Romano antico.
In realtà ci troviamo di fronte ad una palese ingiustizia nei confronti dei Francescani dell’Immacolata. Questo istituto religioso, fondato dai padri Stefano Maria Manelli e Gabriele Maria Pellettieri, è uno dei più fiorenti che vanta la Chiesa, per il numero delle vocazioni, l’autenticità della vita spirituale, la fedeltà all’ortodossia e alle autorità romane. Nella situazione di anarchia liturgica, teologica e morale in cui oggi ci troviamo, i Francescani dell’Immacolata dovrebbero essere presi come un modello di vita religiosa. Il Papa si richiama spesso alla necessità di una vita religiosa più semplice e sobria.
I Francescani dell’Immacolata si distinguono proprio per l’austerità e la povertà evangelica con cui, fin dalla loro fondazione, vivono il loro carisma francescano. Accade invece che, in nome del Papa, la Congregazione dei religiosi azzeri il governo dell’Istituto, per trasmetterlo ad una minoranza di frati ribelli, di orientamento progressista, ai quali il neo-commissario si appoggerà per “normalizzare” l’Istituto, ovvero per condurlo al disastro a cui fino ad ora era sfuggito grazie alla sua fedeltà alle leggi ecclesiastiche e al Magistero.
Ma oggi il male viene premiato e il bene punito. Non sorprende che ad esercitare il pugno di ferro nei confronti dei Francescani dell’Immacolata sia quello stesso Cardinale che auspica comprensione e dialogo con le suore eretiche e scismatiche americane. Quelle religiose predicano e praticano le teorie del gender, e dunque si deve dialogare con esse. I Francescani dell’Immacolata predicano e praticano la castità e la penitenza e perciò con essi non c’è possibilità di comprensione. Questa è la triste conclusione a cui giunge inevitabilmente un osservatore spassionato.
Uno dei capi di imputazione è di essere troppo attaccati alla Messa tradizionale, ma l’accusa è pretestuosa, perché i Francescani dell’Immacolata sono, come si suol dire, “bi-ritualisti”, ovvero celebrano la nuova Messa, e l’antica, come è loro concesso dalle leggi ecclesiastiche vigenti. Posti di fronte ad un ingiusto ordine, c’è da immaginare che alcuni di essi non rinunceranno a celebrare la Messa tradizionale, e faranno bene a resistere su questo punto, perché si tratterà di un gesto non di ribellione ma di obbedienza. Gli indulti e privilegi a favore della Messa tradizionale non sono stati abrogati e hanno una forza giuridica maggiore del decreto di una congregazione, e perfino delle intenzioni di un Papa, se non si esprimono in un chiaro atto giuridico.
Il cardinale Braz de Aviz sembra ignorare l’esistenza del motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, del suo decreto applicativo, l’Istruzione Universae Ecclesiae del 30 aprile 2011, e della commissione Ecclesia Dei, annessa alla Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui oggi la Congregazione per i Religiosi invade il campo.
Qual è l’intenzione della suprema autorità ecclesiastica? Sopprimere l’Ecclesia Dei e abrogare il motu proprio di Benedetto XVI? Lo si dica esplicitamente, perché possano esserne tratte le conseguenze. E se così non è, perché porre in atto un decreto inutilmente provocatorio nei confronti del mondo cattolico che si richiama alla Tradizione della Chiesa? Tale mondo è in fase di grande espansione, soprattutto tra i giovani, e questa è forse la ragione principale dell’ostilità di cui oggi è oggetto.
Infine, il Decreto costituisce un abuso di potere che riguarda non solo i Francescani dell’Immacolata e coloro che impropriamente sono definiti tradizionalisti, ma ogni cattolico. Esso rappresenta infatti un allarmante sintomo di quella perdita della certezza del diritto che sta avvenendo oggi all’interno della Chiesa. La Chiesa infatti è una società visibile, in cui vige il «potere del diritto e della legge» (Pio XII, Discorso Dans notre souhait del 15 luglio 1950). Il diritto è ciò che definisce il giusto e l’ingiusto e, come spiegano i canonisti, «la potestà nella Chiesa deve essere giusta, e ciò è richiesto dall’essere della stessa Chiesa, il quale determina gli scopi e i limiti dell’attività della Gerarchia. Non qualunque atto dei sacri Pastori, per il fatto di provenire da loro, è giusto» (Carlos J. Errazuriz, Il diritto e la giustizia nella Chiesa, Giuffré, Milano 2008, pp. 157) .
Quando la certezza del diritto viene meno, prevale l’arbitrio e la volontà del più forte. Accade spesso nella società, può accadere nella Chiesa, quando in essa la dimensione umana prevale su quella soprannaturale. Ma se non c’è certezza del diritto, non c’è regola di comportamento sicura. Tutto è lasciato all’arbitrio dell’individuo o di gruppi di potere, e alla forza con cui queste lobby sono capaci di imporre la propria volontà. La forza, separata dal diritto, diviene prepotenza e arroganza.
La Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è un’istituzione giuridica, basata su di una legge divina, di cui gli uomini di Chiesa sono i depositari, e non i creatori o i padroni. La Chiesa non è un “soviet”, ma un edificio fondato da Gesù Cristo in cui il potere del Papa e dei vescovi va esercitato seguendo le leggi e le forme tradizionali, radicate tutte nella Rivelazione divina. Oggi si parla di una Chiesa più democratica e ugualitaria, ma il potere viene esercitato spesso in maniera personalistica, in spregio alle leggi e alle consuetudini millenarie. Quando esistono leggi universali della Chiesa, come la bolla di san Pio V Quo primum (1570) e il motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum, è necessario, per mutarle, un atto giuridico equivalente. Non si può ritenere revocata una legge precedente se non con un atto esplicitamente abrogativo di uguale portata.
Per difendere la giustizia e la verità all’interno della Chiesa, confidiamo nella voce dei giuristi, tra i quali sono alcuni eminenti cardinali, che hanno ordinato secondo il Rito “straordinario” i Frati Francescani dell’Immacolata e ne conoscono la vita esemplare e lo zelo apostolico. Ci appelliamo soprattutto a Papa Francesco, perché voglia ritirare le misure contro i Francescani dell’Immacolata e contro il loro uso legittimo del Rito Romano antico.
Qualunque decisione sia presa non possiamo nascondere il fatto che l’ora che vive oggi la Chiesa è drammatica. Nuove tempeste si addensano all’orizzonte e queste tempeste certamente non sono suscitate né dai Frati, né dalle Suore Francescane dell’Immacolata. L’amore alla Chiesa, cattolica apostolica e romana li ha sempre mossi e muove noi a prendere le loro difese. La Madonna, Virgo Fidelis, suggerirà alle coscienze di ognuno, in questi difficili frangenti la giusta strada da seguire.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/il-caso-dei-francescani-dellimmacolata/



martedì 30 luglio 2013

La cappella della Porziuncola

di Margherita del Castillo


Il nome significa “piccola porzione, particella”. La Porziuncola è, di fatto, uno dei luoghi più sacri del francescanesimo, dove si sono svolti molti episodi significativi della vita del Santo.  A pochi passi da Assisi questa chiesetta dedicata a Santa Maria degli Angeli, secondo la tradizione, venne edificata addirittura nel IV secolo da alcuni pellegrini provenienti dalla Palestina, per poi passare a San Benedetto e ai suoi monaci intorno al 516. Francesco vi giunse agli inizi del 1200 quando ancora l’edificio era immerso in un bosco di querce, versando, però, in un miserabile stato di degrado e abbandono.
“Va’ e ripara la mia chiesa”, gli era stato detto dal Signore mentre pregava di fronte al Crocefisso. Così Francesco, prendendo alla lettera le sante parole, ristrutturò la Porziuncola, come già aveva fatto con le chiese di San Domenico e di San Pietro della Spina, per venerarvi la Madre di ogni bontà. Fu qui che comprese definitivamente la sua vocazione, qui stabilì la sua umile dimora, qui istituì l’indulgenza per tutti i fedeli (il Perdono di Assisi confermato da Onorio III)  e qui morì, cantando, nell’ottobre del 1226.
La sacralità del luogo, la volontà di custodirlo e di accogliere i sempre più numerosi fedeli che vi accorrevano, e vi accorrono, da ogni angolo del mondo, spinse Pio V a costruirvi intorno una chiesa, cui venne conferita la dignità di Basilica Papale, intitolata a Santa Maria degli Angeli.  Lo stile essenziale e semplice del progetto dell’architetto perugino Galeazzo Alessi, eseguito tra il 1569 e il 1579, fu scelto, dunque, per dare risalto al prezioso tesoro ivi conservato. Nonostante i rimaneggiamenti susseguitisi nei secoli, la Cappella della Porziuncola mostra ancora l’aspetto originario. Si tratta di una struttura rettangolare in sasso policromo di Subiaco. La facciata a spioventi è sormontata da un’edicola neogotica rifatta dopo il terremoto del 1832. Sulla cuspide l’affresco del pittore Friedrich Overbeck raffigura San Francesco in ginocchio ai piedi di Gesù e di Maria (1829).
“Hic est porta vitae aeternae”. Attraverso la porta della vita eterna si accede all’aula absidata interna, coperta da volta in rozza muratura. La pala d’altare è un dipinto su tavola a sfondo d’oro del Prete Italo da Viterbo che nel 1393 dipinse il racconto dell’Indulgenza in diversi riquadri e una splendida Annunciazione. L’affresco sulla piccola abside esterna con la scena della Crocefissione, di cui è rimasto il brano delle pie donne, la Vergine e San Francesco aggrappato alla Croce, dopo i restauri del secolo scorso è stato finalmente attribuito al Perugino, il più grane pittore umbro del Rinascimento.
Fino al 18 agosto ad Assisi, presso il Museo della Porziuncola e la Galleria d’Arte Contemporanea, sarà allestita la mostra “Dalla Parola, l’Immagine. L’Arte che legge la Bibbia”, il cui percorso attraverso opere grafiche di Rembrandt, Dürer, Chagall, Dalì, Rouault e Paladino indaga il rapporto tra espressione artistica e testo sacro.

Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-cappella-della-porziuncola-6959.htm


lunedì 29 luglio 2013

La prima volta che Francesco contraddice Benedetto

Su un punto nevralgico: la messa in rito antico. Ratzinger ne ha consentito a tutti la celebrazione. Bergoglio l'ha proibita a un ordine religioso che la prediligeva

di Sandro Magister


ROMA, 29 luglio 2013 – Un punto sul quale Jorge Mario Bergoglio era atteso al varco, dopo la sua elezione a papa, era quello della messa in rito antico.

C'era chi prevedeva che papa Francesco non si sarebbe discostato dalla linea del suo predecessore. Il quale aveva liberalizzato la celebrazione della messa in rito antico come forma "straordinaria" del rito moderno, con il motu proprio "Summorum pontificum" del 7 luglio 2007:

> Benedetto XVI liberalizza il rito antico della messa. E spiega perché

e con la successiva istruzione "Universæ ecclesiæ" del 13 maggio 2011:

> Due messe per un'unica Chiesa

E c'era chi invece pronosticava da parte di Francesco una restrizione – o addirittura una cancellazione – della possibilità di celebrare la messa con il rito anteriore al Concilio Vaticano II, anche a costo di contraddire le delibere di Benedetto XVI con lui ancora vivente.

A leggere un decreto emesso dalla congregazione vaticana per i religiosi poco prima del viaggio di Francesco in Brasile, con l'approvazione esplicita dello stesso papa, si dovrebbe dare più ragione ai secondi che ai primi.

Il decreto ha la data dell'11 luglio 2013, il numero di protocollo 52741/2012  e le firme del prefetto della congregazione, il cardinale Joao Braz de Aviz, focolarino, e del segretario della stessa, l'arcivescovo José Rodríguez Carballo, francescano.

Braz de Aviz è l'unico alto dirigente di curia di nazionalità brasiliana e per questo ha accompagnato Francesco nel suo viaggio a Rio de Janeiro. Ha fama di progressista, anche se più gli si addice quella di confusionario. E sarà probabilmente uno dei primi a saltare, appena la riforma della curia annunciata da Francesco prenderà corpo.

Rodríguez Carballo gode invece della piena fiducia del papa. La sua promozione a numero due della congregazione è stata voluta dallo stesso Francesco all'inizio del suo pontificato.

Difficile dunque pensare che papa Bergoglio non si sia avveduto di ciò che approvava, quando gli fu presentato il decreto prima della pubblicazione.

Il decreto insedia un commissario apostolico – nella persona del cappuccino Fidenzio Volpi – alla testa di tutte le comunità della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata.

E già questo è motivo di stupore. Perché i Francescani dell'Immacolata sono una delle più fiorenti comunità religiose nate nella Chiesa cattolica negli ultimi decenni, con rami maschili e femminili, con numerose e giovani vocazioni, diffusi in più continenti e con una missione anche in Argentina.

Si vogliono fedeli alla tradizione, nel pieno rispetto del magistero della Chiesa. Tant'è vero che nelle loro comunità celebrano messe sia in rito antico che in rito moderno, come del resto fanno in tutto il mondo centinaia di altre comunità religiose – per fare un solo esempio i benedettini di Norcia – applicando lo spirito e la lettera del motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI.

Ma proprio questo è stato loro contestato da un nucleo di dissidenti interni, i quali si sono appellati alle autorità vaticane lamentando l'eccessiva propensione della loro congregazione a celebrare la messa in rito antico, con l'effetto di creare esclusioni e contrapposizioni dentro le comunità, di minare l'unità interna e, peggio, di indebolire il più generale "sentire cum Ecclesia".

Le autorità vaticane hanno risposto inviando un anno fa un visitatore apostolico. E ora ecco la nomina del commissario.

Ma ciò che più stupisce sono le ultime cinque righe del decreto dell'11 luglio:

"In aggiunta a quanto sopra, il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l'uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata [sic] dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta".

Lo stupore deriva dal fatto che ciò che qui viene decretato contraddice le disposizioni date da Benedetto XVI, che per la celebrazione della messa in rito antico "sine populo" non esigono alcuna previa richiesta di autorizzazione:

"Ad talem celebrationem secundum unum alterumve Missale, sacerdos nulla eget licentia, nec Sedis Apostolicae nec Ordinarii sui" (1).

Mentre per le messe "cum populo" pongono alcune condizioni, ma sempre assicurando la libertà di celebrare.

In generale, contro un decreto di una congregazione vaticana è possibile fare ricorso presso il supremo tribunale della segnatura apostolica, oggi presieduto da un cardinale, l'americano Raymond Leo Burke, giudicato amico dai tradizionalisti.

Ma se il decreto è oggetto di approvazione in forma specifica da parte del papa, come sembra avvenire in questo caso, il ricorso non è ammesso.

I Francescani dell'Immacolata dovranno attenersi al divieto di celebrare la messa in rito antico a partire da domenica 11 agosto.

E ora che cosa accadrà, non solo tra loro ma nella Chiesa intera?

Era convinzione di Benedetto XVI che "le due forme dell’uso del rito romano possono arricchirsi a vicenda". L'aveva spiegato nell'accorata lettera ai vescovi di tutto il mondo con cui aveva accompagnato il motu proprio "Summorum pontificum":

> "Con grande fiducia e speranza…"


Ma da qui in avanti non sarà più così, almeno non per tutti. Ai Francescani dell'Immacolata, costretti a celebrare la messa soltanto nella forma moderna, non resterà che un solo modo per fare tesoro di quello che ancora Benedetto XVI auspicava: "manifestare" anche in questa forma, "in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso".

Sta di fatto che un caposaldo del pontificato di Joseph Ratzinger è stato incrinato. Da un'eccezione che molti temono – o auspicano – diventerà presto la regola.

__________


(1) Curiosamente, ancora sei anni dopo la pubblicazione, il motu proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI continua a essere presente nel sito ufficiale della Santa Sede solamente in due lingue e tra le meno conosciute: la latina e l'ungherese.


Fonte: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350567


mercoledì 24 luglio 2013

Il santo scapolare del Carmelo

di Cristina Siccardi

Lo scorso anno, per il 16 luglio, parlammo dell’origine storica della Madonna del Carmelo (http://www.corrispondenzaromana.it/chiesa-cattolica-il-16-luglio-la-madonna-del-carmelo/), ora, invece, illustriamo l’importante devozione allo scapolare. La Madonna del Carmelo apparve il 16 luglio 1251 al generale dell’Ordine carmelitano san Simone Stock (1165 ca.-1265), il quale aveva pregato Maria Vergine di donare ai Carmelitani uno specifico privilegio.
La Madonna lo esaudì, consegnandogli uno scapolare (detto anche «abitino») e dicendogli: «Prendi figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. Chi morrà rivestito di questo abito non soffrirà il fuoco eterno; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno». Poi scomparve, lasciando, tra un profumo celestiale e nelle mani del santo, il pegno della Grande Promessa: chiunque avesse indossato e portato per tutta la vita, fino in punto di morte, lo scapolare, non solo si sarebbe salvato, ma sarebbe stato difeso in vita dai pericoli. 
Le condizioni per ottenere il frutto della Grande Promessa sono:
1) Ricevere al collo lo scapolare dalle mani di un sacerdote, il quale, imponendolo, recita una sacra formula di consacrazione alla Madonna. Ciò è necessario solo la prima volta, perché, qualora ne si indossi uno nuovo, lo si può mettere al collo personalmente. 2) Lo scapolare, deve essere tenuto giorno e notte, in modo che una parte scenda sul petto e l’altra sulle spalle, infatti non è valido se lo si porta in tasca, nella borsetta o appuntato. 3) È necessario morire rivestendo lo scapolare. Chi l’ha portato per tutta l’esistenza, ma da moribondo lo dovesse togliere, non parteciperà ai suoi vantaggi. 
 Lo scapolare deve essere solo di panno di lana, di forma quadrata o rettangolare, di colore marrone o nero. Il panno deve riportare l’immagine della Beata Vergine, se essa si scolora o il tessuto fosse un po’ logoro avrebbe valore come al momento dell’imposizione. Se troppo consumato occorre conservarlo oppure lo si distrugge bruciandolo; mentre il suo sostituto non necessita di benedizione. 
 La devozione si diffuse molto nel XV secolo, anche grazie all’influenza di Prospero Lorenzo Lambertini (1675-1758), Arcivescovo di Bologna e futuro Benedetto XIV. Tale devozione fu confermata e lodata da tutti i Pontefici, anche da Giovanni Paolo II (1920-2005), che lo indossò fino alla fine dei suoi giorni. Allo scapolare è inoltre legato il «Privilegio Sabatino»: consiste nell’assistenza che la Madonna offre alle anime che in vita portano devotamente lo scapolare, promettendo loro di liberarle al più presto dal Purgatorio, specialmente il primo sabato dopo la loro morte. 
 La Madonna apparve al Cardinale francese Jacques Duèze (1249-1334), suo grande devoto, al quale annunciò la sua elezione a Pontefice e chiese di promulgare il nuovo privilegio concesso. Coloro che, per motivi particolari di lavoro o altre problematiche serie, avessero difficoltà a portare lo scapolare in panno, purché abbiano fatto validamente l’imposizione, possono sostituirlo con una medaglia, debitamente benedetta, che abbia da un lato l’immagine della Madonna e dall’altra quella del Sacro Cuore di Gesù; così facendo si possono acquistare tutti i privilegi, compreso il Sabatino, e tutte le indulgenze dello Scapolare, come da decreto del 16 dicembre 1910, firmato da san Pio X (1835-1914). Tuttavia il Papa espresse vivamente il desiderio che i fedeli continuassero a portare lo scapolare tradizionale.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/il-santo-scapolare-del-carmelo/