mercoledì 31 luglio 2013

Il "caso" dei Francescani dell'Immacolata

di Roberto de Mattei


Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/ 1350567) si presenta come un episodio di gravità estrema, destinato ad avere all’interno della Chiesa conseguenze forse non previste da chi incautamente lo ha posto in atto.
La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata (conosciuta come Congregazione per i Religiosi), con un suo Decreto dell’11 luglio 2013, firmato dal cardinale prefetto João Braz de Aviz e dall’arcivescovo segretario José Rodriguez Carballo, ofm, ha esautorato i superiori dei Francescani dell’Immacolata, affidando il governo dell’Istituto ad un “commissario apostolico”, il padre Fidenzio Volpi, cappuccino.
Per “blindare” il decreto, il card. João Braz de Aviz, si è munito di un’approvazione “ex auditu”, di Papa Francesco, che toglie ai Frati ogni possibilità di appello alla Segnatura Apostolica. Le ragioni di questa condanna, che ha la sua origine in un esposto alla Congregazione per i Religiosi di un gruppo di frati dissidenti, restano misteriose. Dal decreto della Congregazione e dalla lettera inviata ai Francescani il 22 luglio dal nuovo Commissario, gli unici capi di accusa sembrano essere quelli di scarso «sentire cum Ecclesia» e di eccessivo attaccamento al Rito Romano antico.
In realtà ci troviamo di fronte ad una palese ingiustizia nei confronti dei Francescani dell’Immacolata. Questo istituto religioso, fondato dai padri Stefano Maria Manelli e Gabriele Maria Pellettieri, è uno dei più fiorenti che vanta la Chiesa, per il numero delle vocazioni, l’autenticità della vita spirituale, la fedeltà all’ortodossia e alle autorità romane. Nella situazione di anarchia liturgica, teologica e morale in cui oggi ci troviamo, i Francescani dell’Immacolata dovrebbero essere presi come un modello di vita religiosa. Il Papa si richiama spesso alla necessità di una vita religiosa più semplice e sobria.
I Francescani dell’Immacolata si distinguono proprio per l’austerità e la povertà evangelica con cui, fin dalla loro fondazione, vivono il loro carisma francescano. Accade invece che, in nome del Papa, la Congregazione dei religiosi azzeri il governo dell’Istituto, per trasmetterlo ad una minoranza di frati ribelli, di orientamento progressista, ai quali il neo-commissario si appoggerà per “normalizzare” l’Istituto, ovvero per condurlo al disastro a cui fino ad ora era sfuggito grazie alla sua fedeltà alle leggi ecclesiastiche e al Magistero.
Ma oggi il male viene premiato e il bene punito. Non sorprende che ad esercitare il pugno di ferro nei confronti dei Francescani dell’Immacolata sia quello stesso Cardinale che auspica comprensione e dialogo con le suore eretiche e scismatiche americane. Quelle religiose predicano e praticano le teorie del gender, e dunque si deve dialogare con esse. I Francescani dell’Immacolata predicano e praticano la castità e la penitenza e perciò con essi non c’è possibilità di comprensione. Questa è la triste conclusione a cui giunge inevitabilmente un osservatore spassionato.
Uno dei capi di imputazione è di essere troppo attaccati alla Messa tradizionale, ma l’accusa è pretestuosa, perché i Francescani dell’Immacolata sono, come si suol dire, “bi-ritualisti”, ovvero celebrano la nuova Messa, e l’antica, come è loro concesso dalle leggi ecclesiastiche vigenti. Posti di fronte ad un ingiusto ordine, c’è da immaginare che alcuni di essi non rinunceranno a celebrare la Messa tradizionale, e faranno bene a resistere su questo punto, perché si tratterà di un gesto non di ribellione ma di obbedienza. Gli indulti e privilegi a favore della Messa tradizionale non sono stati abrogati e hanno una forza giuridica maggiore del decreto di una congregazione, e perfino delle intenzioni di un Papa, se non si esprimono in un chiaro atto giuridico.
Il cardinale Braz de Aviz sembra ignorare l’esistenza del motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, del suo decreto applicativo, l’Istruzione Universae Ecclesiae del 30 aprile 2011, e della commissione Ecclesia Dei, annessa alla Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui oggi la Congregazione per i Religiosi invade il campo.
Qual è l’intenzione della suprema autorità ecclesiastica? Sopprimere l’Ecclesia Dei e abrogare il motu proprio di Benedetto XVI? Lo si dica esplicitamente, perché possano esserne tratte le conseguenze. E se così non è, perché porre in atto un decreto inutilmente provocatorio nei confronti del mondo cattolico che si richiama alla Tradizione della Chiesa? Tale mondo è in fase di grande espansione, soprattutto tra i giovani, e questa è forse la ragione principale dell’ostilità di cui oggi è oggetto.
Infine, il Decreto costituisce un abuso di potere che riguarda non solo i Francescani dell’Immacolata e coloro che impropriamente sono definiti tradizionalisti, ma ogni cattolico. Esso rappresenta infatti un allarmante sintomo di quella perdita della certezza del diritto che sta avvenendo oggi all’interno della Chiesa. La Chiesa infatti è una società visibile, in cui vige il «potere del diritto e della legge» (Pio XII, Discorso Dans notre souhait del 15 luglio 1950). Il diritto è ciò che definisce il giusto e l’ingiusto e, come spiegano i canonisti, «la potestà nella Chiesa deve essere giusta, e ciò è richiesto dall’essere della stessa Chiesa, il quale determina gli scopi e i limiti dell’attività della Gerarchia. Non qualunque atto dei sacri Pastori, per il fatto di provenire da loro, è giusto» (Carlos J. Errazuriz, Il diritto e la giustizia nella Chiesa, Giuffré, Milano 2008, pp. 157) .
Quando la certezza del diritto viene meno, prevale l’arbitrio e la volontà del più forte. Accade spesso nella società, può accadere nella Chiesa, quando in essa la dimensione umana prevale su quella soprannaturale. Ma se non c’è certezza del diritto, non c’è regola di comportamento sicura. Tutto è lasciato all’arbitrio dell’individuo o di gruppi di potere, e alla forza con cui queste lobby sono capaci di imporre la propria volontà. La forza, separata dal diritto, diviene prepotenza e arroganza.
La Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è un’istituzione giuridica, basata su di una legge divina, di cui gli uomini di Chiesa sono i depositari, e non i creatori o i padroni. La Chiesa non è un “soviet”, ma un edificio fondato da Gesù Cristo in cui il potere del Papa e dei vescovi va esercitato seguendo le leggi e le forme tradizionali, radicate tutte nella Rivelazione divina. Oggi si parla di una Chiesa più democratica e ugualitaria, ma il potere viene esercitato spesso in maniera personalistica, in spregio alle leggi e alle consuetudini millenarie. Quando esistono leggi universali della Chiesa, come la bolla di san Pio V Quo primum (1570) e il motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum, è necessario, per mutarle, un atto giuridico equivalente. Non si può ritenere revocata una legge precedente se non con un atto esplicitamente abrogativo di uguale portata.
Per difendere la giustizia e la verità all’interno della Chiesa, confidiamo nella voce dei giuristi, tra i quali sono alcuni eminenti cardinali, che hanno ordinato secondo il Rito “straordinario” i Frati Francescani dell’Immacolata e ne conoscono la vita esemplare e lo zelo apostolico. Ci appelliamo soprattutto a Papa Francesco, perché voglia ritirare le misure contro i Francescani dell’Immacolata e contro il loro uso legittimo del Rito Romano antico.
Qualunque decisione sia presa non possiamo nascondere il fatto che l’ora che vive oggi la Chiesa è drammatica. Nuove tempeste si addensano all’orizzonte e queste tempeste certamente non sono suscitate né dai Frati, né dalle Suore Francescane dell’Immacolata. L’amore alla Chiesa, cattolica apostolica e romana li ha sempre mossi e muove noi a prendere le loro difese. La Madonna, Virgo Fidelis, suggerirà alle coscienze di ognuno, in questi difficili frangenti la giusta strada da seguire.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/il-caso-dei-francescani-dellimmacolata/



martedì 30 luglio 2013

La cappella della Porziuncola

di Margherita del Castillo


Il nome significa “piccola porzione, particella”. La Porziuncola è, di fatto, uno dei luoghi più sacri del francescanesimo, dove si sono svolti molti episodi significativi della vita del Santo.  A pochi passi da Assisi questa chiesetta dedicata a Santa Maria degli Angeli, secondo la tradizione, venne edificata addirittura nel IV secolo da alcuni pellegrini provenienti dalla Palestina, per poi passare a San Benedetto e ai suoi monaci intorno al 516. Francesco vi giunse agli inizi del 1200 quando ancora l’edificio era immerso in un bosco di querce, versando, però, in un miserabile stato di degrado e abbandono.
“Va’ e ripara la mia chiesa”, gli era stato detto dal Signore mentre pregava di fronte al Crocefisso. Così Francesco, prendendo alla lettera le sante parole, ristrutturò la Porziuncola, come già aveva fatto con le chiese di San Domenico e di San Pietro della Spina, per venerarvi la Madre di ogni bontà. Fu qui che comprese definitivamente la sua vocazione, qui stabilì la sua umile dimora, qui istituì l’indulgenza per tutti i fedeli (il Perdono di Assisi confermato da Onorio III)  e qui morì, cantando, nell’ottobre del 1226.
La sacralità del luogo, la volontà di custodirlo e di accogliere i sempre più numerosi fedeli che vi accorrevano, e vi accorrono, da ogni angolo del mondo, spinse Pio V a costruirvi intorno una chiesa, cui venne conferita la dignità di Basilica Papale, intitolata a Santa Maria degli Angeli.  Lo stile essenziale e semplice del progetto dell’architetto perugino Galeazzo Alessi, eseguito tra il 1569 e il 1579, fu scelto, dunque, per dare risalto al prezioso tesoro ivi conservato. Nonostante i rimaneggiamenti susseguitisi nei secoli, la Cappella della Porziuncola mostra ancora l’aspetto originario. Si tratta di una struttura rettangolare in sasso policromo di Subiaco. La facciata a spioventi è sormontata da un’edicola neogotica rifatta dopo il terremoto del 1832. Sulla cuspide l’affresco del pittore Friedrich Overbeck raffigura San Francesco in ginocchio ai piedi di Gesù e di Maria (1829).
“Hic est porta vitae aeternae”. Attraverso la porta della vita eterna si accede all’aula absidata interna, coperta da volta in rozza muratura. La pala d’altare è un dipinto su tavola a sfondo d’oro del Prete Italo da Viterbo che nel 1393 dipinse il racconto dell’Indulgenza in diversi riquadri e una splendida Annunciazione. L’affresco sulla piccola abside esterna con la scena della Crocefissione, di cui è rimasto il brano delle pie donne, la Vergine e San Francesco aggrappato alla Croce, dopo i restauri del secolo scorso è stato finalmente attribuito al Perugino, il più grane pittore umbro del Rinascimento.
Fino al 18 agosto ad Assisi, presso il Museo della Porziuncola e la Galleria d’Arte Contemporanea, sarà allestita la mostra “Dalla Parola, l’Immagine. L’Arte che legge la Bibbia”, il cui percorso attraverso opere grafiche di Rembrandt, Dürer, Chagall, Dalì, Rouault e Paladino indaga il rapporto tra espressione artistica e testo sacro.

Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-cappella-della-porziuncola-6959.htm


lunedì 29 luglio 2013

La prima volta che Francesco contraddice Benedetto

Su un punto nevralgico: la messa in rito antico. Ratzinger ne ha consentito a tutti la celebrazione. Bergoglio l'ha proibita a un ordine religioso che la prediligeva

di Sandro Magister


ROMA, 29 luglio 2013 – Un punto sul quale Jorge Mario Bergoglio era atteso al varco, dopo la sua elezione a papa, era quello della messa in rito antico.

C'era chi prevedeva che papa Francesco non si sarebbe discostato dalla linea del suo predecessore. Il quale aveva liberalizzato la celebrazione della messa in rito antico come forma "straordinaria" del rito moderno, con il motu proprio "Summorum pontificum" del 7 luglio 2007:

> Benedetto XVI liberalizza il rito antico della messa. E spiega perché

e con la successiva istruzione "Universæ ecclesiæ" del 13 maggio 2011:

> Due messe per un'unica Chiesa

E c'era chi invece pronosticava da parte di Francesco una restrizione – o addirittura una cancellazione – della possibilità di celebrare la messa con il rito anteriore al Concilio Vaticano II, anche a costo di contraddire le delibere di Benedetto XVI con lui ancora vivente.

A leggere un decreto emesso dalla congregazione vaticana per i religiosi poco prima del viaggio di Francesco in Brasile, con l'approvazione esplicita dello stesso papa, si dovrebbe dare più ragione ai secondi che ai primi.

Il decreto ha la data dell'11 luglio 2013, il numero di protocollo 52741/2012  e le firme del prefetto della congregazione, il cardinale Joao Braz de Aviz, focolarino, e del segretario della stessa, l'arcivescovo José Rodríguez Carballo, francescano.

Braz de Aviz è l'unico alto dirigente di curia di nazionalità brasiliana e per questo ha accompagnato Francesco nel suo viaggio a Rio de Janeiro. Ha fama di progressista, anche se più gli si addice quella di confusionario. E sarà probabilmente uno dei primi a saltare, appena la riforma della curia annunciata da Francesco prenderà corpo.

Rodríguez Carballo gode invece della piena fiducia del papa. La sua promozione a numero due della congregazione è stata voluta dallo stesso Francesco all'inizio del suo pontificato.

Difficile dunque pensare che papa Bergoglio non si sia avveduto di ciò che approvava, quando gli fu presentato il decreto prima della pubblicazione.

Il decreto insedia un commissario apostolico – nella persona del cappuccino Fidenzio Volpi – alla testa di tutte le comunità della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata.

E già questo è motivo di stupore. Perché i Francescani dell'Immacolata sono una delle più fiorenti comunità religiose nate nella Chiesa cattolica negli ultimi decenni, con rami maschili e femminili, con numerose e giovani vocazioni, diffusi in più continenti e con una missione anche in Argentina.

Si vogliono fedeli alla tradizione, nel pieno rispetto del magistero della Chiesa. Tant'è vero che nelle loro comunità celebrano messe sia in rito antico che in rito moderno, come del resto fanno in tutto il mondo centinaia di altre comunità religiose – per fare un solo esempio i benedettini di Norcia – applicando lo spirito e la lettera del motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI.

Ma proprio questo è stato loro contestato da un nucleo di dissidenti interni, i quali si sono appellati alle autorità vaticane lamentando l'eccessiva propensione della loro congregazione a celebrare la messa in rito antico, con l'effetto di creare esclusioni e contrapposizioni dentro le comunità, di minare l'unità interna e, peggio, di indebolire il più generale "sentire cum Ecclesia".

Le autorità vaticane hanno risposto inviando un anno fa un visitatore apostolico. E ora ecco la nomina del commissario.

Ma ciò che più stupisce sono le ultime cinque righe del decreto dell'11 luglio:

"In aggiunta a quanto sopra, il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l'uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata [sic] dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta".

Lo stupore deriva dal fatto che ciò che qui viene decretato contraddice le disposizioni date da Benedetto XVI, che per la celebrazione della messa in rito antico "sine populo" non esigono alcuna previa richiesta di autorizzazione:

"Ad talem celebrationem secundum unum alterumve Missale, sacerdos nulla eget licentia, nec Sedis Apostolicae nec Ordinarii sui" (1).

Mentre per le messe "cum populo" pongono alcune condizioni, ma sempre assicurando la libertà di celebrare.

In generale, contro un decreto di una congregazione vaticana è possibile fare ricorso presso il supremo tribunale della segnatura apostolica, oggi presieduto da un cardinale, l'americano Raymond Leo Burke, giudicato amico dai tradizionalisti.

Ma se il decreto è oggetto di approvazione in forma specifica da parte del papa, come sembra avvenire in questo caso, il ricorso non è ammesso.

I Francescani dell'Immacolata dovranno attenersi al divieto di celebrare la messa in rito antico a partire da domenica 11 agosto.

E ora che cosa accadrà, non solo tra loro ma nella Chiesa intera?

Era convinzione di Benedetto XVI che "le due forme dell’uso del rito romano possono arricchirsi a vicenda". L'aveva spiegato nell'accorata lettera ai vescovi di tutto il mondo con cui aveva accompagnato il motu proprio "Summorum pontificum":

> "Con grande fiducia e speranza…"


Ma da qui in avanti non sarà più così, almeno non per tutti. Ai Francescani dell'Immacolata, costretti a celebrare la messa soltanto nella forma moderna, non resterà che un solo modo per fare tesoro di quello che ancora Benedetto XVI auspicava: "manifestare" anche in questa forma, "in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso".

Sta di fatto che un caposaldo del pontificato di Joseph Ratzinger è stato incrinato. Da un'eccezione che molti temono – o auspicano – diventerà presto la regola.

__________


(1) Curiosamente, ancora sei anni dopo la pubblicazione, il motu proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI continua a essere presente nel sito ufficiale della Santa Sede solamente in due lingue e tra le meno conosciute: la latina e l'ungherese.


Fonte: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350567


mercoledì 24 luglio 2013

Il santo scapolare del Carmelo

di Cristina Siccardi

Lo scorso anno, per il 16 luglio, parlammo dell’origine storica della Madonna del Carmelo (http://www.corrispondenzaromana.it/chiesa-cattolica-il-16-luglio-la-madonna-del-carmelo/), ora, invece, illustriamo l’importante devozione allo scapolare. La Madonna del Carmelo apparve il 16 luglio 1251 al generale dell’Ordine carmelitano san Simone Stock (1165 ca.-1265), il quale aveva pregato Maria Vergine di donare ai Carmelitani uno specifico privilegio.
La Madonna lo esaudì, consegnandogli uno scapolare (detto anche «abitino») e dicendogli: «Prendi figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. Chi morrà rivestito di questo abito non soffrirà il fuoco eterno; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno». Poi scomparve, lasciando, tra un profumo celestiale e nelle mani del santo, il pegno della Grande Promessa: chiunque avesse indossato e portato per tutta la vita, fino in punto di morte, lo scapolare, non solo si sarebbe salvato, ma sarebbe stato difeso in vita dai pericoli. 
Le condizioni per ottenere il frutto della Grande Promessa sono:
1) Ricevere al collo lo scapolare dalle mani di un sacerdote, il quale, imponendolo, recita una sacra formula di consacrazione alla Madonna. Ciò è necessario solo la prima volta, perché, qualora ne si indossi uno nuovo, lo si può mettere al collo personalmente. 2) Lo scapolare, deve essere tenuto giorno e notte, in modo che una parte scenda sul petto e l’altra sulle spalle, infatti non è valido se lo si porta in tasca, nella borsetta o appuntato. 3) È necessario morire rivestendo lo scapolare. Chi l’ha portato per tutta l’esistenza, ma da moribondo lo dovesse togliere, non parteciperà ai suoi vantaggi. 
 Lo scapolare deve essere solo di panno di lana, di forma quadrata o rettangolare, di colore marrone o nero. Il panno deve riportare l’immagine della Beata Vergine, se essa si scolora o il tessuto fosse un po’ logoro avrebbe valore come al momento dell’imposizione. Se troppo consumato occorre conservarlo oppure lo si distrugge bruciandolo; mentre il suo sostituto non necessita di benedizione. 
 La devozione si diffuse molto nel XV secolo, anche grazie all’influenza di Prospero Lorenzo Lambertini (1675-1758), Arcivescovo di Bologna e futuro Benedetto XIV. Tale devozione fu confermata e lodata da tutti i Pontefici, anche da Giovanni Paolo II (1920-2005), che lo indossò fino alla fine dei suoi giorni. Allo scapolare è inoltre legato il «Privilegio Sabatino»: consiste nell’assistenza che la Madonna offre alle anime che in vita portano devotamente lo scapolare, promettendo loro di liberarle al più presto dal Purgatorio, specialmente il primo sabato dopo la loro morte. 
 La Madonna apparve al Cardinale francese Jacques Duèze (1249-1334), suo grande devoto, al quale annunciò la sua elezione a Pontefice e chiese di promulgare il nuovo privilegio concesso. Coloro che, per motivi particolari di lavoro o altre problematiche serie, avessero difficoltà a portare lo scapolare in panno, purché abbiano fatto validamente l’imposizione, possono sostituirlo con una medaglia, debitamente benedetta, che abbia da un lato l’immagine della Madonna e dall’altra quella del Sacro Cuore di Gesù; così facendo si possono acquistare tutti i privilegi, compreso il Sabatino, e tutte le indulgenze dello Scapolare, come da decreto del 16 dicembre 1910, firmato da san Pio X (1835-1914). Tuttavia il Papa espresse vivamente il desiderio che i fedeli continuassero a portare lo scapolare tradizionale.

Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/il-santo-scapolare-del-carmelo/

martedì 23 luglio 2013

Narni, città di devozione francescana

di Margherita del Castillo

Era, presumibilmente, il febbraio 1213 quando San Francesco giunse a Narni, nella bassa Umbria, su invito del vescovo Ugolino fortemente preoccupato del diffondersi dell’eresia catara. Vi si fermò parecchi giorni, il tempo necessario per predicare con entusiasmante fervore, operare miracoli e fondare un eremo nel punto in cui, attorno all’anno Mille, si era già insediata una piccola comunità di Benedettini.
All’epoca questo luogo era noto come Eremo di S. Urbano e comprendeva alcune grotte e l’Oratorio di San Silvestro. Il Santo di Assisi amava ritirarsi in preghiera in una fenditura nella roccia che scende verticalmente verso la vallata per circa sessanta metri. Qui, al Sacro Speco, uno dei più mistici luoghi francescani e il più antico della Valnerina, i frati costruirono per lui una celletta, dove in una teca di vetro ancora si conservano i legni da lui utilizzati come giaciglio e un piccolo oratorio.
Percorrendo il Viale del Perdono si arriva al Santuario, sviluppatosi successivamente grazie a San Bernardino da Siena, il cui ingresso è presidiato da una piccola chiesa tardo cinquecentesca ad un solo ambiente con un coevo crocifisso ligneo e un semplice tabernacolo. Dal chiostro quattrocentesco si accede all’antica cappella benedettina di San Silvestro dove recenti restauri hanno riportato alla luce gli affreschi del Cristo in Croce con Maria e figure di Santi (XIV sec.) Dietro l’abside sorge il pozzo da cui fu attinta l’acqua che Francesco trasformò in vino, come raccontano i Fioretti e Tommaso da Celano, autore di due biografie del Santo.
Dopo la morte di Francesco, nel 1226, i cittadini di Narni, per la profonda devozione nutrita nei suoi confronti e in memoria del suo soggiorno, vollero costruire nel centro del paese una chiesa a lui intitolata. Un ricco portale ad archi concentrici consente l’accesso all’interno a tre navate divise da pilastri cilindrici affrescati e aperto, su ciascun lato, in cinque cappelle. Tra queste la Cappella degli Eroli si caratterizza per l’architettura quattrocentesca e la ricchezza della decorazione a fresco. Quest’ultima venne eseguita, probabilmente dopo il 1461, dal pittore folignate Pier Antonio Mezzastris, come sembra confermare la firma che compare nella scena de "Il Sogno di Innocenzo III". Il maestro, allievo del più celebre Benozzo Gozzoli, realizzò l’intero ciclo francescano con episodi della vita di Francesco, da una parte, e della vita di San Bernardino dall’altra. Anche in Sacrestia si possono ammirare pareti e volte affrescate da Alessandro Torresani con le scene dell’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi, le Nozze di Cana e il Redentore (XVI sec.) .

Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-narni-citt-di-devozione-francescana-6918.htm


sabato 13 luglio 2013

La caduta degli angeli

di Augusto de Izcue


La principale funzione degli angeli è quella di essere assistenti al Trono di Dio. Come ogni re ha la sua corte formata da personaggi di spicco, così Dio, «Re dei re e Signore dei signori» (Apoc. 19,16), si è formato una corte con le creature più eccellenti della creazione, gli angeli, che perciò viene chiamata Corte celeste. 
di Augusto de Izcue

Al vertice di questa Corte c’era un angelo, a cui si applicano le parole rivolte dal profeta Ezechiele al Re di Tiro: «Tu eri il modello della perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza. Abitavi nell’Eden, giardino di Dio. Eri coperto d’ogni pietra preziosa. (...) Il giorno in cui fosti creato ti stabilì quale Cherubino protettore, ti posi sul monte santo di Dio» (Ez. 28, 12ss). Era Lucifero, il primo fra gli angeli. Tutti i privilegi della natura angelica Dio effuse in misura sovrabbondante nella persona di questo supremo angelo. La sua sovrana bellezza e luce (Lucifero significa “colui che porta la luce”) riempiva di ammirazione tutti gli angeli.

Lucifero, primo degli angeli
Purtroppo fu proprio questo a perderlo. È vero che egli era perfettissimo, ma doveva essere comunque sottomesso a Dio con un’obbedienza piena, doveva cioè accettare il suo posto nella gerarchia dell’universo. Invece, l’orgoglio cominciò a corrodere il suo spirito: «Perfetto tu eri nelle tue vie dal giorno in cui fosti creato, fino a quando spuntò in te l’iniquità» (Ez. 28,15).
Egli pensava con superbia: «Salirò in Cielo, al di sopra degli astri di Dio, innalzerò il mio trono, salirò sulla sommità delle nuvole, sarò simile all’Altissimo» (Is. 14,13-14). Non contento di essere il primo degli angeli, Lucifero si volle paragonare a Dio: «Il tuo cuore si è inorgoglito e tu hai detto: Io sono un dio e nella dimora di un dio io abito» (Ez. 28, 2).
Lucifero era ancora formalmente sottomesso a Dio, ma in lui v’era già il seme della ribellione. Il suo amore non era più incondizionato ma, anzi, critico. Questa freddezza della volontà, frutto di un cuore inorgoglito, turbava anche la sua intelligenza, non più capace di comprendere razionalmente che egli non poteva mai paragonarsi con l’Essere assoluto.

Orgoglio, egualitarismo, Rivoluzione
Alla radice del male, troviamo dunque l’orgoglio, che produce un atteggiamento ugualitario che tende poi a sfociare in ribellione. La persona orgogliosa, soggetta all’autorità di un’altra, odia in primo luogo il giogo che in concreto pesa su di lei.
In secondo luogo, l’orgoglioso odia genericamente tutte le autorità e tutti i gioghi, e più ancora lo stesso principio di autorità, considerato in astratto. E poiché odia ogni autorità, odia anche ogni superiorità, di qualsiasi ordine sia.
Era questa la situazione di Lucifero quando, come è opinione quasi generale fra i teologi, Dio rivelò agli angeli che la Seconda Persona della Santissima Trinità avrebbe assunto la natura umana in Gesù Cristo e chiese loro di adorarLo, non solo nella Sua divinità, ma anche nella Sua umanità ipostaticamente unita.
Mentre gli angeli buoni esultarono di gioia e adorarono il Verbo Incarnato in previsione della Sua nascita, Lucifero cominciò invece a protestare. Se prima obbediva a malavoglia, ora proprio non ne poteva più. Adorare un uomo, anche se ipostaticamente unito al Verbo Divino! La sua intelligenza oscurata gli impediva perfino di analizzare quanto v’era di sapienziale nell’Incarnazione. L’invidia inondava il suo spirito, resisteva al volere divino. Invitava anche gli altri angeli alla disobbedienza. Molti angeli, in cui certamente l’amore alla gerarchia era già carente, lo ascoltarono.

Rivoluzione e Contro-rivoluzione nel Cielo
A questo punto, secondo una pia opinione, Dio avrebbe sottomesso gli angeli alla prova suprema: rivelò loro la divina maternità di Maria Santissima e, quindi, il suo ruolo basilare nella storia della salvezza, domandando di venerarLa come Signora e Regina.Gli angeli buoni subito esultarono: “Veneriamo questa Donna, capolavoro della Santissima Trinità!”. Per Lucifero, invece, la misura era colma. Egli rompe ogni indugio: “No! Non serviam!”. Non servirò mai ad una creatura inferiore a me, una creatura meramente umana! E scatena la prima rivoluzione della storia, ribellandosi apertamente contro Dio e contro l’ordine da Lui stabilito. Un terzo della Corte celeste lo segue.

Davanti a questo fatto sconvolgente, per gli angeli che volevano restare fedeli a Dio, sorse un nuovo obbligo morale: dare testimonianza di Dio, cioè amarLo, lodarLo e servirLo, in netto contrasto con coloro che Lo odiavano, bestemmiavano e si ribellavano. In altre parole, nacque il dovere della militanza.
Se ne fece eco l’arcangelo Michele. Non potendo tollerare questa insolenza, egli lancia quel grido magnifico: “Quis ut Deus!” (Chi è come Dio!) e si mette al comando della Contro-rivoluzione. Leggiamo nell’Apocalisse: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli,  ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli» (Apoc. 12, 7-9).In ricompensa per la sua fedeltà, Dio dà al vincitore il nome di MI-CHA-EL, che vuol dire appunto “Chi è come Dio”, e lo designa Principe delle milizie celestiali. Alla sconfitta di Lucifero segue invece un castigo adeguato al suo peccato. L’angelo ribelle si vede trasformato da spirito di luce in un mostro orribile: «Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? (…) Tu che volevi essere simile all’Altissimo, invece sei precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso» (Is. 14, 12-14).

La guerra al peccato nella storia
Questa caduta degli angeli condiziona poi tutta la storia. All’inizio della creazione vediamo Dio nella gloria perfetta tra i Suoi angeli. Tutto è inondato dalla gioia infinita d’una creazione ancora incontaminata. Se fosse rimasta così, la pace avrebbe regnato per sempre. Purtroppo, dalla caduta di Lucifero, e poi dei nostri padri Adamo ed Eva, dobbiamo fare i conti con una realtà ineluttabile, con quel “mistero di iniquità” chiamato peccato.Peccato che, poi, tende a manifestarsi in tutto l’operato dell’uomo. Il male si incarna – per così dire – in persone, idee, movimenti, tendenze, false religioni e cattivi poteri che bisogna contrastare. Perciò la Chiesa ci ricorda con Giobbe che «la vita dell’uomo sulla terra è una battaglia» (Giobbe, 7,1). Papa Leone XIII ci rammenta ugualmente che «il cristiano nasce per la lotta» (Enciclica Sapientiae Cristianae, del 10-01-1890).Ed ecco la visione d’una storia attraversata dalla lotta fra il bene e il male, caratterizzata dalle Sacre Scritture come la lotta fra la Donna e la sua discendenza, i “figli della luce”, contro il serpente e la sua discendenza, i “figli delle tenebre”. Una visione che oggi, purtroppo, sembra alquanto persa, con rovinose conseguenze in vari campi.

Fonte : http://www.radicicristiane.it/fondo.php/id/156/ref/3/Dossier/La-caduta-degli-angeli

domenica 7 luglio 2013

Il Santuario della Verna

di Margherita del Castillo

Il pellegrinaggio è il paradigma della vita, ci ha recentemente ricordato Papa Francesco: un cammino guidato all'incontro con Gesù. Lasciandoci condurre dal Santo di cui il Pontefice ha prescelto il nome, ci mettiamo in viaggio lungo il sentiero a lui intitolato, che dall'Appennino toscano porta fino alla nostra meta: Assisi.
Da nord il punto di partenza naturale è il Santuario della Verna, immerso in una secolare foresta di faggi e abeti, incastonato tra le rocce dell'omonimo monte un tempo di proprietà del Conte Orlando dei Cattani, che nel 1213 ne fece dono a Francesco e ai suoi compagni. Sistemandosi nelle grotte già esistenti, trasformate in celle, i frati elessero questo luogo, remoto e silenzioso, per condurvi una vita ascetica. Più volte il Poverello di Assisi si fermò qui e qui il 14 settembre 1224 ricevette le Sacre Stimmate. Il miracolo, ricordato da Dante nel Paradiso della sua Commedia, fece della Verna uno dei centri francescani più importanti e venerati, meta di devoti pellegrinaggi.
"Non est in toto sanctior orbe mons", non vi è al mondo monte più sacro. Con queste parole, scritte sul portone d'ingresso, si viene accolti nell'Eremo. La parte più antica è la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, costruita in seguito all'apparizione della Vergine a Francesco che la volle semplice e spoglia come la sua Porziuncola. Ad aula unica, preceduta da un porticato asimmetrico, conserva della struttura primitiva solo la campana, dono di San Bonaventura e, all'interno, una pala in terracotta invetriata di Andrea della Robbia, raffigurante l'Assunzione di Maria al cielo.
Attraversato il Quadrante, l'ampio piazzale lastricato così chiamato per la meridiana che qui si affaccia dal campanile della Basilica, si accede alla Chiesa Maggiore, dedicata a Maria Assunta, dalla tipica forma francescana a croce latina ed una navata. La sua costruzione, iniziata nel 1348, si concluse solo nel 1509 grazie al fondamentale contributo dell'Arte della Lana di Firenze che lasciò il suo stemma sulla volta. Anche qui si conservano preziose opere del Della Robbia e della sua bottega, ceramiche rinascimentali con scene della Natività, dell'Annunciazione e dell'Ascensione che decorano i diversi altari.
La Cappella delle Reliquie custodisce alcuni oggetti appartenuti al Santo, la ciotola, il bicchiere, il bastone e un panno di lino intriso del suo sangue. Il porticato che avvolge la Basilica all'esterno, affrescato con scene della vita del Santo, conduce alla Cappella delle Stimmate (1263), il luogo dove il Santo ricevette l'ultimo sigillo e, dunque, cuore del Santuario: sulla parete di fondo trova spazio la monumentale pala robbiana con l'immagine di Cristo crocefisso tra gli angeli, la Madonna e Santi. Un masso imponente che sporge da una roccia, detto Sasso Spicco, è, infine, il luogo dove Francesco si ritirava in preghiera per meditare sulla passione di Cristo, come la grande croce in legno ricorda.


La foresteria accoglie tutto l'anno, con diverse modalità, famiglie, singoli e gruppi che desiderino soggiornare qui per pregare insieme ai frati. (Info: 0575/5341).

Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-santuariodella-verna-6816.htm

mercoledì 3 luglio 2013

Santa Messa in rito antico a Canoscio (PG)

Le foto della Santa Messa in rito antico di ieri, per la Visitazione della Beata Vergine Maria, nella bellissima Pieve Medievale di Canoscio (PG).
Celebrante il nostro cappellano padre Timoteo De Iuliis (FFI).
Un caro saluto a tutti i soci e i presenti intervenuti.